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Kashmir, storia di un conflitto

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Rassegna stampa curata saltuariamente da Marco Vasta


24/02/2002  Premio bresciano alla «Madre del Tibet»


dal 24/02/2002 al 24/02/2002 Stato: Italia

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Regione: Lombardia Dipartimento: -
Città: Brescia
dove:Palazzo della Loggia
Fonte:Associazione Italia Tibet

In Breve (lingua: Italiano )

«Arrivavano a piedi - racconta - dopo aver attraversato la catena himalaiana in condizioni terrificanti, talora soccorsi da altri tibetani che li scoprivano sul ciglio della strada, stremati, affamati, ammalati. Tanta desolazione provocava gravi traumi e una mortalità altissima. Fuggendo le atrocità cinesi hanno abbandonato tutto, molti hanno visto morire i propri genitori, alcuni sono stati costretti ad ucciderli durante le sedute di thamzing. Ancora oggi molti bambini sono fatti fuggire dagli stessi genitori che preferiscono rinunciare a loro piuttosto che vederli coartati, abbruttiti, asserviti, uccisi dai cinesi. Alcuni sono stati divorati dai lupi, altri sepolti sotto la neve. Molti al loro arrivo subivano l’amputazione di una gamba o di un braccio. Ma il nostro lavoro non si limita a curare il fisico, cerchiamo di lenire le sofferenze psichiche».


Contenuto di: Premio bresciano alla «Madre del Tibet»

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Sarà assegnato alla signora Jetsun Pema, sorella del dalai lama e Presidente del Tibetan Children’s Village, il Premio Coraggio istituito nel 1983 dalla sezione di Brescia dell’Associazione Nazionale Donne Elettrici. Jetsun Pema riceverà il premio il 26 febbraio nella nostra città. Con questo riconoscimento, l’Ande vuole affermare il diritto alle libertà civili, politiche e religiose di ogni individuo e di ogni popolo, la necessità di salvaguardare i valori e la tipicità di ogni espressione sociale democratica e la solidarietà con chi combatte per difendere questi valori. Jetsun Pema, dopo un’infanzia serena trascorsa a Lhasa all’ombra del Potala, il monastero in cui viveva il fratello Tenzin Gyatso, 14° dalai lama del Tibet, e finiti gli studi in India, Svizzera e Inghilterra, si è stabilita a Dharamsala (India) nel ’61. Qui ha ritrovato i familiari e i profughi che erano fuggiti dalla dura repressione cinese seguita all’invasione del Tibet. Nel corso degli anni ha ricoperto molte cariche ministeriali (è stata anche ministro dell’Istruzione del Governo in esilio), ma ha dedicato la sua vita alla salvezza dei bambini tibetani. Da più di trenta anni, infatti, lavora per il Tibetan Children’s Village (Tcv), nato per volontà di Sua Santità, per ricoverare le migliaia di bambini orfani o dispersi. «Arrivavano a piedi - racconta - dopo aver attraversato la catena himalaiana in condizioni terrificanti, talora soccorsi da altri tibetani che li scoprivano sul ciglio della strada, stremati, affamati, ammalati. Tanta desolazione provocava gravi traumi e una mortalità altissima. Fuggendo le atrocità cinesi hanno abbandonato tutto, molti hanno visto morire i propri genitori, alcuni sono stati costretti ad ucciderli durante le sedute di thamzing. Ancora oggi molti bambini sono fatti fuggire dagli stessi genitori che preferiscono rinunciare a loro piuttosto che vederli coartati, abbruttiti, asserviti, uccisi dai cinesi. Alcuni sono stati divorati dai lupi, altri sepolti sotto la neve. Molti al loro arrivo subivano l’amputazione di una gamba o di un braccio. Ma il nostro lavoro non si limita a curare il fisico, cerchiamo di lenire le sofferenze psichiche». Grazie agli aiuti internazionali, alle adozioni a distanza e molte organizzazioni umanitarie, oggi la signora Pema può offrire ai suoi 12.000 bambini una casa, cibo, vestiti, un’istruzione moderna ma ancora basata sulle conoscenze tradizionali tibetane, perché le nuove generazioni in esilio non dimentichino la storia, la lingua, le usanze e la religione della patria in cui vogliono un giorno ritornare. La sua lotta contro l’oppressione e le vessazioni si è fatta anche più consapevole dopo il viaggio di tre mesi che ha compiuto nell’80 in Tibet a capo di una delegazione. «A partire dal ’66 - ricorda - la parola d’ordine diventò sinizzazione totale con l’interdizione di parlare tibetano, considerata lingua religiosa… I libri di grammatica furono dichiarati "libri della fede cieca"... Ai bambini si insegnava che la religione non era altro che superstizione; la lingua tibetana, inutile, arretrata, era il retaggio della vecchia società, barbara, oppressiva... Mao, infatti, aveva detto che la religione è un gran veleno e ha due grandi difetti: rovina la razza e ritarda il progresso del Paese». Eletta dal Parlamento in esilio «Madre del Tibet» (o come dicono da loro Amala), la signora Pema oggi amministra quattro studentati infantili, cinque scuole residenziali, otto strutture scolastiche, ostelli per i giovani, centri per gli anziani, un centro artigianale per gli studenti più anziani che vendono i loro prodotti per contribuire alla sopravvivenza dei villaggi, scuole che hanno sfornato ormai più di 1075 studenti tibetani diplomati. Jetsun Pema, è nata davvero con un cucchiaio d’argento in bocca, come diceva la sua amatissima sorella, non certo perché la sua vita sia semplice o priva di dolore ma perché lei sa trasformare tutto in amore. «In una parte della casa, proibita ai bambini - ricorda ancora Jetsun - c’era sempre un monaco eremita che pregava per la pace e per la prosperità. In tale atmosfera i bambini crescono considerando la religione come parte integrante della vita, vedono i loro genitori fare le preghiere e li imitano naturalmente, senza aver bisogno d’insegnamento. E la religione si sviluppa in quel modo, con loro, dentro di loro». Era questo il mondo di Amala, un mondo che lei vuole che sia ancora di tutti i bambini tibetani. (do. c.)


Altri link: Italia Tibet 
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