24/02/2002
Sul Tetto del Mondo la morte di una civiltà |
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24/02/2002
| Stato: Italia |
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Brescia |
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Fonte: | Associazione Italia Tibet |
In Breve
(lingua: Italiano
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Secondo le stime di Amnesty dei 6.200 monasteri del ’50 ne rimanevano 45 nell’80, i monaci e le monache da 592.558 divennero 15.000 nell’87, oltre 110.000 furono torturati e uccisi, più di 250.000 furono spretati con la forza. Per le politiche forzate di sterilizzazione e di aborto la popolazione è oggi in costante diminuzione e più di 130mila tibetani sono rifugiati in India, Nepal, Bhutan, Svizzera, Stati Uniti e Canada. Il governo in esilio calcola che all’interno vivano sei milioni di tibetani contro i sette e mezzo di Han importati dalla Cina. Il 70% della popolazione tibetana è analfabeta e la lingua tradizionale, non più insegnata nelle scuole, è ormai poco più di un dialetto; la speranza di vita è di 45 anni, il reddito medio annuo è di 220.000 lire, cubi di cemento hanno sostituito le antiche abitazioni in pietra. Dal ’71 la Cina ha aperto in Tibet laboratori per test nucleari. Dopo la morte di Mao (’76) le persecuzioni che si erano un poco allentate, sono riprese più feroci che mai negli anni Ottanta; la situazione economica è migliorata solo per i collaborazionisti, l’apertura al turismo ha giovato solo in parte alla cura del patrimonio artistico e il piano di sviluppo della Regione Autonoma del Tibet promette solo una completa integrazione dell’economia e della vita sociale e culturale tibetane nell’alveo di quelle cinesi.
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di: Sul Tetto del Mondo la morte di una civiltà
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L’invasione cinese del 1959 in Tibet significò torture, deportazioni, fame e povertà e costrinse all’esilio il dalai lama con decine di migliaia di persone
Con la caduta della dinastia Manciù inizia la storia dell’indipendenza del Tibet (1912-’51). La Cina, stremata dalla rivoluzione e in preda all’anarchia, fu costretta a ritirarsi dal Tibet. Il 13° dalai lama si rivelò abile nel giostrarsi tra gli inglesi, ai quali concesse quel tanto di apertura che bastava per assicurare al Paese rapporti diplomatici e commerciali, mentre ai cinesi inflisse una sconfitta, dichiarando il Tibet libero da legami di vassallaggio. Alla sua morte (’33) iniziò una lotta fra i candidati alla reggenza, dalla quale emersero i conservatori che scelsero come reggente l’abate di Reting, un reincarnato, giovane, intelligente, ma impulsivo e libertino. Su indicazione di una sua profezia, venti mesi dopo la morte del 13°, fu trovato il nuovo dalai lama, Tenzin Gyatso (nato nel 1935). Il ritiro dall’India da parte dell’Inghilterra, che aveva il protettorato sul Tibet, lasciò il Paese in balia della Cina: nel ’51 400mila soldati cinesi erano alle porte di Lhasa e i tibetani isolati, poco armati e guidati da un dalai lama bambino, dovettero cedere. I primi «Accordi sulle misure per la pacifica liberazione», imposti dai cinesi, prevedevano il rispetto dell’identità culturale e religiosa del Tibet, e il libero sviluppo dell’educazione e del commercio. Il dalai lama, i suoi collaboratori e i cinesi diedero vita a riforme democratiche, furono costruite strade per aprire il Paese a Cina, India e Nepal. Dopo due o tre anni, però, le vecchie rivalità tibetane tra laici e chierici, abati e nobili, sette e monasteri furono aggravate da quelle nuove tra oppositori e collaborazionisti. I cinesi imposero riforme radicali, la resistenza creò l’Esercito Volontario di Difesa Nazionale. I cinesi pretesero la collaborazione del dalai lama, che rifiutò, e fuggì in esilio con il governo tibetano il 17 maggio ’59, rifugiandosi in India. Ora risiede a Dharamsala dove ha sede il Governo tibetano in esilio. Nel Paese incominciò una violenta repressione e la collettivizzazione forzata. I cinesi soppressero istituzioni feudali quali corvées e prestazioni di lavoro gratuite, tolsero i diritti di proprietà fondiaria e immobiliare, confiscarono le greggi, crearono cooperative, sfruttarono abusivamente le risorse naturali (minerali e petrolio), disboscarono massicciamente il territorio. I tibetani, dovendo vivere con 2-3 kg. di burro, 5 di carne e 4 di farina d’orzo l’anno, finirono col nutrirsi di roditori, cani, vermi. I cinesi proibirono il culto, fecero strage di monaci e religiosi, trasformarono i monasteri e i templi in granai, stalle, caserme, officine, distrussero opere d’arte e immagini sacre. Ai genitori «eretici» tolsero i figli che mandarono in Cina per la rieducazione; obbligarono i figli stessi ad uccidere i genitori durante le sedute di thamzing, la violenta pratica di autocritica in pubblico. Decine di migliaia di profughi varcarono i passi dell’Himalaia, cercando rifugio all’estero. Secondo le stime di Amnesty dei 6.200 monasteri del ’50 ne rimanevano 45 nell’80, i monaci e le monache da 592.558 divennero 15.000 nell’87, oltre 110.000 furono torturati e uccisi, più di 250.000 furono spretati con la forza. Per le politiche forzate di sterilizzazione e di aborto la popolazione è oggi in costante diminuzione e più di 130mila tibetani sono rifugiati in India, Nepal, Bhutan, Svizzera, Stati Uniti e Canada. Il governo in esilio calcola che all’interno vivano sei milioni di tibetani contro i sette e mezzo di Han importati dalla Cina. Il 70% della popolazione tibetana è analfabeta e la lingua tradizionale, non più insegnata nelle scuole, è ormai poco più di un dialetto; la speranza di vita è di 45 anni, il reddito medio annuo è di 220.000 lire, cubi di cemento hanno sostituito le antiche abitazioni in pietra. Dal ’71 la Cina ha aperto in Tibet laboratori per test nucleari. Dopo la morte di Mao (’76) le persecuzioni che si erano un poco allentate, sono riprese più feroci che mai negli anni Ottanta; la situazione economica è migliorata solo per i collaborazionisti, l’apertura al turismo ha giovato solo in parte alla cura del patrimonio artistico e il piano di sviluppo della Regione Autonoma del Tibet promette solo una completa integrazione dell’economia e della vita sociale e culturale tibetane nell’alveo di quelle cinesi. Lo scopo di Pechino è trasformare i contadini tibetani in operai a basso costo per le industrie nascenti e i nomadi del Tetto del Mondo in allevatori di bestiame, riducendo il Tibet a centro di produzione di carni macellate per tutta la Cina, tradendo il tradizionale rispetto della popolazione verso la natura.
Dora Cavagnis |
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