09/01/2002
L'anglo-olandese Shell e la russa Gazprom nel gasdotto cinese |
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09/01/2002 |
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09/01/2002
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Mega-accordo fatto, ma ancora non si può dire ufficialmente, tra PetroChina e Royal Dutch/Shell, a capo di un consorzio che include anche la russa Gazprom. Un affare da 18 miliardi di dollari che prevede la costruzione di un gasdotto lungo 4mila chilometri, che attraverserà la Cina dai confini occidentali alla costa est fino a Shanghai, nonché l'esplorazione e lo sviluppo di giacimenti di gas nella regione uigura della provincia autonoma del Xinjiang, travagliata frontiera islamica cinese. Secondo l'anonima (ma affidabile) fonte della notizia diffusa ieri dall'agenzia Reuters, l'accordo preliminare sarebbe stato firmato il 31 dicembre scorso a Pechino e prevede che il consorzio Shell-Gazprom abbia il 45% del progetto mentre PetroChina controllerà il restante 55%.
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La Exxon fuori dal gasdotto cinese L'anglo-olandese Shell e la russa Gazprom firmano con Pechino un accordo da 18 miliardi di dollari A. PA.
Mega-accordo fatto, ma ancora non si può dire ufficialmente, tra PetroChina e Royal Dutch/Shell, a capo di un consorzio che include anche la russa Gazprom. Un affare da 18 miliardi di dollari che prevede la costruzione di un gasdotto lungo 4mila chilometri, che attraverserà la Cina dai confini occidentali alla costa est fino a Shanghai, nonché l'esplorazione e lo sviluppo di giacimenti di gas nella regione uigura della provincia autonoma del Xinjiang, travagliata frontiera islamica cinese. Secondo l'anonima (ma affidabile) fonte della notizia diffusa ieri dall'agenzia Reuters, l'accordo preliminare sarebbe stato firmato il 31 dicembre scorso a Pechino e prevede che il consorzio Shell-Gazprom abbia il 45% del progetto mentre PetroChina controllerà il restante 55%. Due gli aspetti rilevanti dell'avvenimento: si tratta del più grande investimento mai effettuato finora dalla Cina nel settore energetico e lascia fuori dal promettente ed enorme mercato cinese il gigante statunitense Exxon Mobil Corp., in un'attesa che potrebbe essere assai lunga, per favorire un'alleanza di matrice europea. Come dire che, al di là dell'ecumenico schieramento messo in piedi dagli Stati uniti per portare guerra all'Afghanistan, sono molte le carte a disposizione di Pechino per contendere il terreno geopolitico all'unica superpotenza, e la leadership cinese intende giocarle tutte. Un portavoce della Shell a Pechino non ha voluto confermare la sigla dell'accordo, ma ha dichiarato che i negoziati "hanno registrato significativi progressi". Quanto allo sviluppo della vicenda, che all'inizio vedeva in gara tutti quanti, Exxon compresa, ancora a dicembre il direttore esecutivo di PetroChina assicurava che nel progetto avrebbero avuto una parte entrambe i consorzi in gara. Ma il fronte americano è scomparso dagli accordi preliminari e un suo eventuale futuro ingresso dipenderà, secondo l'anonima fonte citata dalla Reuters "dagli sviluppi futuri". Exxon Mobil spera ancora. Nessuno comunicazione ufficiale è ancora arrivata, fanno sapere dalla multinazionale. Del resto, le speranze non sono campate in aria. La Exxon Mobil, insieme a Shell e Bp, già da due anni ha un piede nel mercato cinese avendo acquistato, come gli altri, un pacchetto di azioni nella semi-privatizzazione delle tre maggiori compagnie statali cinesi del petrolio. Come compenso per l'investimento, le multinazionali del petrolio hanno ottenuto i diritti per gestire centinaia di distributori lungo la costa orientale cinese, quella più attiva e sviluppata. E tutte e tre hanno concluso accordi di joint ventures con imprese statali cinesi per costruire impianti petrolchimici. Nessun dubbio che l'accordo per il gasdotto rafforzerà la posizione del gruppo anglo-olandese sul mercato cinese, radicandola in modo più stabile, ancor prima dell'ondata straniera che si abbatterà sulla Cina quando l'entrata nella Wto dispiegherà tutti i suoi effetti. Una posizione di forza (considerando l'esclusione del potente concorrente americano) che ben valeva l'accettazione di termini finanziari non propriamente favorevoli, come qualcuno vocifera sia avvenuto. Ma, come dichiara ancora alla Reuters un analista finanziario che chiede anche lui di restare anonimo (la verità in certi campi può costare cara), la Shell paga con profitti inferiori un sicuro vantaggio politico.
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