28/10/2001
Un fondo di Ceronetti sul Dalai Lama (La Stampa 28/10/01) |
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APPLAUDIRE è un rito, bisognerebbe farlo di rado, di Guido Ceronetti APPLAUDIRE è un rito, bisognerebbe farlo di rado, essere tutta Persuasione, tutto Entusiasmo... Ascoltando il lunghissimo applauso che ha accolto prima l’ingresso poi il breve discorso del Dalai Lama al parlamento di Strasburgo ho pensato: questo applauso ha un significato, tra gli stessi che applaudono pochi l’avranno pienamente afferrato. Infatti quest’uomo, che in abiti occidentali potrebbe passare per un professore di filosofia, è il rappresentante supremo di una religione antichissima e nello stesso tempo di un popolo schiacciato, perdutamente oppresso. Lo si deve a lui, in esilio, se il popolo tibetano, la nazione montanara del Tibet, occupati militarmente dalla Cina fin dai primi tempi di maoismo al potere, sebbene indelebili per la civiltà del pensiero, restano a tutt’oggi nella memoria politica, e carta scritta sul tavolo delle chiacchiere sui diritti umani.
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PRIMA PAGINA de La Stampa Domenica 28 Ottobre 2001 APPLAUDIRE è un rito, bisognerebbe farlo di rado,
di Guido Ceronetti APPLAUDIRE è un rito, bisognerebbe farlo di rado, essere tutta Persuasione, tutto Entusiasmo... Ascoltando il lunghissimo applauso che ha accolto prima l’ingresso poi il breve discorso del Dalai Lama al parlamento di Strasburgo ho pensato: questo applauso ha un significato, tra gli stessi che applaudono pochi l’avranno pienamente afferrato. Infatti quest’uomo, che in abiti occidentali potrebbe passare per un professore di filosofia, è il rappresentante supremo di una religione antichissima e nello stesso tempo di un popolo schiacciato, perdutamente oppresso. Lo si deve a lui, in esilio, se il popolo tibetano, la nazione montanara del Tibet, occupati militarmente dalla Cina fin dai primi tempi di maoismo al potere, sebbene indelebili per la civiltà del pensiero, restano a tutt’oggi nella memoria politica, e carta scritta sul tavolo delle chiacchiere sui diritti umani. Applaudire il Dalai Lama significa onorare un uomo e il suo popolo destinato a Lebensraum cinese e a forzata metamorfosi etnica (pressapoco come la Russia nei piani hitleriani) perché non insanguinano con attentati e spettacoli infami di morte la disperata cronaca dell’universo umano. Una identità calpestata, le tradizioni mandate in pezzi, la rappresentanza politica e religiosa o sparata o sbandita, i monasteri distrutti, unica fonte legale un’autorità totalitaria emanante i suoi decreti da una città ignota a quasi tutti gli abitanti, il sapersi senza scampo, condannati a sparire - e tuttavia... E tuttavia nelle valli e negli esigli tibetani non si confezionano pacchi di strage. Nessun Lama si fa sceicco del terrore. Nessun buddista tibetano sarà mai trasformato in pupazzo esplosivo al canto di litanie monastiche, al suono di mantras o di sutras ripetuti. In Cina temono attentati dalle popolazioni uigure del Turkestan islamizzato, non certo che un Bin Laden, una tigre tamil, un Atta, un folle di Ramallah alzino teste di drago nelle valli tibetane. In Italia, sull’Amiata, c’è il gompa di Merigar, un tempietto tibetano: vi si respira soltanto la verità e la pace. Applaudire il Dalai Lama significa essergli grati per non aver accresciuto, a motivo delle sofferenze del suo popolo, il dolore del mondo. Di sapersi rendere temibile ai nemici facendosi ascoltare, ricevere, guadagnando simpatie alla sua causa. Dal sorriso enigmatico dei Trentacinque Risvegliati discende il suo - invincibile. L'articolo rimane in linea nel sito della stampa fino al 27 Novembre 2001 http://www.lastampa.it/Search/Giornale/home.asp?PG_ID=257625&TxT=tibet Segnalato da CN |
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