In duemila per onorare una tradizione e per salutare i tibetani AMMONIMENTO Sì alla suggestione no all'esotismo
TRENTO. La magìa è stata quella di sempre, resa abbagliante da qualche migliaio di candele accese sulle lunghe tavolate dove i posti disponibili erano millecinquecento, ma alla fine i commensali sono risultati molti di più. La Cena benedettina nella spianata sotto il mausoleo a Cesare Battisti, sulla sommità del Doss Trento, è questa: un'immagine di luci e di figure umane all'interno dell'oscurità della notte estiva. Sono proprio queste figure a rappresentare il valore aggiunto rispetto ad una festa tradizionale. Sono persone che vi arrivano per uno scopo: quello di conoscere le diversità di uomini e di problemi a cui ogni annuale Cena benedettina viene dedicata. Il richiamo di ieri sera era l'incontro con la diversità del Tibet, la spiritualità del Dalai Lama, la suggestione del mondo buddista e l'evocazione delle sofferenze di un popolo oppresso. Da qua l'ammonimento del professor Andrea Zanotti al momento di aprire l'aspetto cerimoniale: siamo in un tempo in cui spesso le diversità vengono valorizzate solo per il loro lato eccentrico, esotico, alla moda e non di rado si cerca di rimuovere il senso della civiltà di cui esse sono portatrici fino a ridurle ad un elemento di puro decoro estetico e morale. Cosa c'è di più esotico del buddismo del Tibet? Questo è il pericolo e per questo, ha proseguito Zanotti, il Dalai Lama ed il suo popolo debbono tornare a vivere tra le loro montagne, «nel regno incantato dove è stato possibile sedimentare e far rilucere nei millenni tesori di disciplina spirituale ed ascetica». Lo scambio dei doni con Kohren, la portavoce del Dalai Lama, che ha ricordato la quarantennale oppressione del popolo tibetano occupato dalla Cina, ha dato il via alla Cena benedettina vera e propria. Pasta e fagioli, pane, formaggio e frutta, acqua e vino: questo il tradizionale menù servito in una ciotola da cui si mangia servendosi di un cucchiaio di legno. La ciotola resta a tutti in ricordo della serata e rappresenta un simbolo nelle case, anzi un po' alla volta rappresenta una collezione delle finora tredici Cene benedettine che si sono via via succedute. Pasta e fagioli per tutti: per autorità, per cittadini, per monaci tibetani e per due frati «veri» venuti anche loro sul prato della sommità del Doss Trento. Il loro convento è quello di Santa Caterina di Rovereto. «Veniamo qui perché una volta ci hanno invitati, è una testimonianza la nostra, una presenza in mezzo a tanta gente». Frati di San Francesco quasi fianco a fianco con i monaci del Dalai Lama. Anche questo è la Cena benedettina, il pasto frugale che l'abbazia benedettina della destra Adige offriva alla povera gente in segno di condivisione e ospitalità. In più la cena è il gran lavoro di centinaia di volontari, la passione degli organizzatori, la spinta dei promotori a scoprire nuove suggestioni non banali da offrire. Quest'anno poi si è verificata una coincidenza particolare: dieci anni fa, in occasione dell'anno internazionale del Tibet, la cena era stata dedicata proprio al Tibet con la presenza di un piccolo gruppo di monaci buddisti. Passato un decennio, il Dalai Lama a Trento ha fatto sì che la Cena sul Doss Trento tornasse sui suoi passi e venisse dedicata a quel popolo ed al suo capo spirituale. Da qua anche il suo spostamento di qualche giorno dal tradizionale appuntamento durante la settimana delle feste vigiliane. |