LA MOSTRA Allo Spazio foyer dell'auditorium
TRENTO. Dal 1950, anno d'inizio dell'occupazione militare cinese del Tibet, il patrimonio artistico-culturale tibetano rischia di scomparire proprio dalle sue zone di origine. «Saremmo deboli, sciocchi e irresponsabili a permettere che vada perso e distrutto», ha detto Tenzin Ghiatso, riconosciuto nel 1937 come XIV Dalai Lama. In questi decenni, più di 100 mila tibetani, che hanno seguito il Dalai Lama in esilio, sono riusciti a sensibilizzare la comunità internazionale. In occasione della visita in Trentino del Dalai Lama, anche la Provincia di Trento ha voluto allestire una mostra dedicata all'arte, la religione e la vita quotidiana del Tibet. "Uomini e dei sul tetto del mondo" è il titolo dell'esposizione, da ieri e fino al 14 ottobre allo Spazio Foyer del Centro S.Chiara. La prima sezione della mostra, riservata all'arte, ospita i thangka, il filo che unisce, nella cultura tibetana, vita spiriturale e dimensione artistica. Dipinti su stoffe preziose, utilizzati come ornamento nei templi, i tangka rappresentano un'arte religiosa e al tempo stesso una tecnica di meditazione, il cui scopo non è solo l'espressione dei sentimenti dell'artista, ma l'evocazione della legge buddista. Accanto alla pittura sacra, reliquiari, teiere, ciotole in argento e pietre dure, finestre in legno e trombe telescopiche: sono oltre 100 gli oggetti esposti alla mostra, provenienti da numerose collezioni, tra le quali spiccano il Centro buddista di Pomaia e la collezione di Reinhold Messner. Mobili in legno di pino himalayano, decorati a mano con straordinari colori minerali, ci parlano della vita quotidiana del Tibet. E un reportage fotografico di Vittorio Benvenuti racconta il Tibet orientale, terra natale del Dalai Lama, parte più segreta dell'immenso paese delle nevi. Dal monastero di Tarsi, luogo sacro del buddismo vajrayana, risalendo verso le distese d'erba attorno al lago Koko Nor, dove vivono i pastori nomadi dokpa, le "genti delle solitudini". Il viaggio prosegue fino alla vetta di Amnye Macen, mèta di pellegrinaggio per i tibetani, e termina lungo la strada che congiunge Lhasa al Tibet orientale. Qui, nella terra dei guerrieri khampa, la fede si manifesta con i mani, lunghi muri di pietre votive sulle quali vengono scolpiti i mantra, le sacre parole di potere che simboleggiano gli elementi della natura. Paesaggi e buddah, monaci, persone qualunque e danze sacre sono anche in altre foto, questa volta in bianco e nero, scattate da Fosco Maraini nel suo viaggio in Tibet del 1948. Le danze rituali (cham), conservate dai tibetani dall'VIII secolo ad oggi, rappresentano uno degli aspetti più suggestivi della tradizione del buddismo tantrico. Fotografate da Vicki Sevignani, queste danze colpiscono per la loro spettacolarità, un gioco di costumi, maschere e ornamenti colorati, e di suoni suggestivi a noi sconosciuti. In realtà i cham sono quanto di più lontano si possa immaginare da uno spettacolo profano: i monaci li eseguono esclusivamente per motivi spirituali, riuscendo, grazie ad essi, ad entrare in rapporto con le energie mentali più profonde della loro coscienza. Chiara Bert
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