Hanno subìto torture per anni, patito la fame e il freddo. Sono state incarcerate in celle disumane, costrette ai lavori forzati e alla rieducazione politica, eppure non si sono mai piegate. Le due giovani monache tibetane - Passang Lhamo e Choying Kunsang - entrambe di 26 anni che l'Associazione Italia-Tibet e Amnesty International hanno invitato in Italia per un giro di conferenze, ieri in sala stampa di Montecitorio hanno raccontato la loro storia.
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Hanno subìto torture per anni, patito la fame e il ... p. p. Hanno subìto torture per anni, patito la fame e il freddo. Sono state incarcerate in celle disumane, costrette ai lavori forzati e alla rieducazione politica, eppure non si sono mai piegate. Le due giovani monache tibetane - Passang Lhamo e Choying Kunsang - entrambe di 26 anni che l'Associazione Italia-Tibet e Amnesty International hanno invitato in Italia per un giro di conferenze, ieri in sala stampa di Montecitorio hanno raccontato la loro storia. Testa rasata, abito rosso porpora, bracciale di preghiera al polso hanno parlato del loro paese, il Tibet, dove anche i più elementari diritti umani sono negati, non solo ai monaci buddisti seguaci del Dalai Lama ma a tutta la popolazione civile che vive sotto l'occupazione cinese. Choying Kunsang, figlia di contadini, è diventata monaca buddista a 14 anni. A 18, dopo aver preso coscienza della repressione e della continua violazione dei diritti umani attuata soprattutto nei monasteri, ha deciso di scendere per strada a protestare con altre sette monache. Hanno appena fatto a tempo a gridare: «Vogliamo la libertà e l'indipendenza» e «lunga vita al Dalai Lama» che subito sono state imbavagliate, picchiate e arrestate dalla polizia. Portate al centro di detenzione di Gutsa, sono state sottoposte a un durissimo interrogatorio e picchiate selvaggiamente per giorni per costringerle a rinnegare il loro atto di insubordinazione. Sono state condannate a 4 anni di reclusione, ma prima di lasciare il centro di detenzione per il carcere di Drapchi, sono state sottoposte a un prelievo del sangue «per ripagarsi del vitto e del soggiorno a Gutsa».
Analoga storia quella vissuta da Passang Lhamo. «In carcere la tortura era una consuetudine quotidiana - racconta - d'estate ci costringevano a stare sedute per ore sotto il sole con un catino di acqua in testa e con altri oggetti sotto le ascelle per non farci muovere da quella posizione. D'inverno ci facevano camminare a piedi nudi sul ghiaccio per intere giornate».
Passang e Choying, dopo 4 anni di lavori forzati e di rieducazione obbligata sono state rimesse in "libertà", ma sempre sotto strettissima sorveglianza della polizia cinese. Una anno fa sono fuggite dal Tibet e sono riparate in India per non mettere a rischio anche la vita dei loro familiari e per continuare la loro missione di testimonianza in giro per il mondo. |