«Spesso si parla del Tibet dal punto di vista di un certo spiritualismo salottiero, ma non si sottolinea la drammaticità della questione tibetana. Nessuno dice che dal '50 in poi c'è stato un vero e proprio sterminio di un milione di tibetani tra monaci, donne e bambini ad opera del governo comunista cinese. Il fatto è che del Tibet non importa niente a nessuno, non fa notizia, non è un paese ricco, non ha il petrolio e i paesi che hanno il potere economico e mediatico hanno interessi commerciali con la Cina».
Originale: Columbro: «Io, regista per il Dalai Lama» (lingua: Italiano
)
Marco Columbro non è stato a Castel Sant’Elmo solo per svolgere il suo mestiere di bravo presentatore. Oltre a condurre la serata conclusiva del Napoli Film Festival, con annessa proclamazione dei vincitori, il popolare conduttore televisivo è intervenuto alla manifestazione anche in qualità di autore di alcuni documentari sul Tibet e di relatore al convegno su «Tibet: cinema e cultura». Esiste, insomma, un Columbro cineasta? «Non esageriamo. Nel '94, quando sono stato in Tibet per intervistare il Dalai Lama, ho realizzato tre documentari - ”Il sorriso della saggezza”, ”La terra dai tetti d'oro” e ”La luce del Buddha” - scaturiti in maniera naturale dal mio interesse per questa terra e la sua cultura e il contesto di Napoli mi sembrava ideale per presentarli al pubblico». Di che cosa si tratta? «Sono documentari che toccano alcuni aspetti del comportamento, della spiritualità, della dignità del popolo tibetano. Quella del Napoli Film Festival, che ha dedicato un convegno e una sezione al Tibet con una buona selezione di documentari e film, è un'iniziativa lodevole: del Tibet si parla poco e male ed è invece importante che il pubblico possa vedere una produzione cinematografica che ha anche un valore politico». In che senso? «Spesso si parla del Tibet dal punto di vista di un certo spiritualismo salottiero, ma non si sottolinea la drammaticità della questione tibetana. Nessuno dice che dal '50 in poi c'è stato un vero e proprio sterminio di un milione di tibetani tra monaci, donne e bambini ad opera del governo comunista cinese. Il fatto è che del Tibet non importa niente a nessuno, non fa notizia, non è un paese ricco, non ha il petrolio e i paesi che hanno il potere economico e mediatico hanno interessi commerciali con la Cina». Lei è buddista? «Non sono buddista, in Italia si tende a minimizzare o etichettare tutto ciò che esce da certi schemi tradizionali. Mi considero un libero ricercatore dello spirito, sono interessato a tutte le religioni e alle tensioni spirituali dell'essere umano. Le religioni intese come intermediazione non hanno più ragione di esistere, la divinità è dentro di noi e non c'è bisogno di figure esterne per comunicarla. Ho conosciuto maestri occidentali e orientali che mi hanno aiutato molto in questa ricerca». Perché dopo tanti anni di attività a Mediaset ha deciso di passare alla Rai? «La Rai mi corteggiava da anni e periodicamente mi ha fatto proposte di lavoro che ho sempre rifiutato perché non avevo nessun motivo di abbandonare Mediaset. Stavolta però, quando è arrivata la proposta di condurre ”Scommettiamo che?” con Lorella Cuccarini, i dirigenti di Canale 5 non mi hanno trattenuto e quindi ho accettato». Quando partirà il programma con la Cuccarini? «Tra ottobre e novembre. A dicembe, però, condurrò l'ultimo programma per Retequattro: è un appuntamento settimanale di controinformazione intitolato ”Alla ricerca della verità”».