In Nepal invece la parola «maoismo» evoca tutt’altro. Ci sono villaggi messi a ferro e fuoco da guerriglieri disciplinati e violenti, capaci di uccidere in un colpo solo - è successo la scorsa settimana - 137 persone: è la «guerra popolare» scatenata nel 1996 dal Partito comunista nepalese (maoista) , il Pcn-m, per «liberare» le masse contadine e rovesciare la monarchia del piccolo Stato himalayano. Le vittime sono ormai oltre 2.400 (compresi i 48 sospetti guerriglieri eliminati ieri dall’esercito), lo stato d’emergenza è stato prorogato. Uno spargimento di sangue che squassa il Paese e sembra riesumare un credo che, dopo aver ispirato movimenti anticolonialisti e rivoluzionari nel Terzo Mondo, sembrava aver perso la sua «forza propulsiva» con la morte del fondatore della Repubblica popolare cinese, nel ’76.
Originale: Dall’India al Nepal, la lunghissima marcia dei nipotini di Mao (lingua: Italiano
)
La mappa dei gruppi che ancora si ispirano al Grande Timoniere. Il più attivo minaccia la monarchia di Katmandu
Dall’India al Nepal, la lunghissima marcia dei nipotini di Mao
Nello Stato himalayano la guerriglia è guidata dal compagno Prachanda, «il Terribile»
In Cina c’è un villaggio, Nanjie, dove i ritratti di Mao Zedong e di Karl Marx vigilano sulle giornate dei suoi abitanti, le bandiere e gli slogan del «Libretto rosso» scandiscono il tempo e lo spazio; a Nanjie, nell’Henan, tutto avviene nel nome del Grande Timoniere e c’è chi, con occhi da occidentale, l’ha definita una «Pompei maoista», museo vivente di un’ideologia abbandonata mentre tutt’intorno la Cina è ormai gloriosamente avviata sulla strada del «socialismo di mercato» così poco socialista e così tanto di mercato. In Nepal invece la parola «maoismo» evoca tutt’altro. Ci sono villaggi messi a ferro e fuoco da guerriglieri disciplinati e violenti, capaci di uccidere in un colpo solo - è successo la scorsa settimana - 137 persone: è la «guerra popolare» scatenata nel 1996 dal Partito comunista nepalese (maoista) , il Pcn-m, per «liberare» le masse contadine e rovesciare la monarchia del piccolo Stato himalayano. Le vittime sono ormai oltre 2.400 (compresi i 48 sospetti guerriglieri eliminati ieri dall’esercito), lo stato d’emergenza è stato prorogato. Uno spargimento di sangue che squassa il Paese e sembra riesumare un credo che, dopo aver ispirato movimenti anticolonialisti e rivoluzionari nel Terzo Mondo, sembrava aver perso la sua «forza propulsiva» con la morte del fondatore della Repubblica popolare cinese, nel ’76. L’IDEOLOGIA - E’ dunque l’Asia il continente che mantiene in vita esperienze che si autoproclamano maoiste. Tra organizzazioni ancora attive, frange marginali e partiti estinti, sono (o sono stati) toccati in modo significativo, oltre al Nepal, anche l’ India , le Filippine , la Thailandia , la Birmania . Più il caso estremo della Cambogia , con i Khmer rossi di Pol Pot , dove tuttavia la consonanza con elementi del maoismo fu un tragico punto d’arrivo e non l’ispirazione originaria. «I gruppi maoisti dell’Asia sono un prodotto del confronto geopolitico fra Cina e Urss negli anni Sessanta. Si tratta di movimenti tra loro differenziati con in comune la protezione della Cina di Mao e il ricorso alla lotta armata», spiega Francesco Montessoro, docente all’Università Statale di Milano. A rendere possibile che si conservasse intatto un riferimento ideologico altrove estinto, «in generale, è la struttura delle società asiatiche, organizzate in cellule, gruppi di potere locali». A questa si aggiunge - pur nelle varietà regionali - la capacità della dottrina maoista, variamente semplificata o reinterpretata, di incanalare la disperazione di contadini poverissimi in contesti spesso feudali (l’accento sul ruolo delle campagne nel processo rivoluzionario è uno dei luoghi comuni del pensiero e della mitologia di Mao). «Regimi autoritari, come ad esempio quello di Marcos nelle Filippine degli anni ’70-’80, favoriscono una reazione di tipo insurrezionale», aggiunge Montessoro. Infine, l’intreccio di teoria rivoluzionaria e tecniche di guerriglia che anima il maoismo sa alimentare la strategia di formazioni armate. ESTINTI E SOPRAVVISSUTI - Intrappolati nella giungla, dissanguati dalle diserzioni o indeboliti da lotte fratricide, diversi movimenti sono implosi. Il Partito comunista thailandese di osservanza maoista, attivo negli anni Settanta, è sparito grazie all’azione combinata di azioni militari, amnistie e politiche di reinserimento dei militanti in un Paese via via più democratico: ora alcune sue basi sono trasformate in parchi turistici. Il Partito comunista birmano è rimasto spiazzato dalla svolta impressa dalla Cina da Deng Xiaoping dopo il ’78 e si è dissolto trasformandosi in una milizia etnica (genti wa ) dedita a traffici soprattutto di oppio. In Cambogia i Khmer rossi non esistono più dalla seconda metà degli anni Novanta; i leader rimasti, corresponsabili della morte di un milione 700 mila persone durante il regime di Pol Pot (1975-79), attendono di essere processati, se non moriranno prima di vecchiaia, da un tribunale che l’Onu diserterà. E nelle Filippine il Nuovo esercito popolare , che sotto Marcos agiva sul 75% dell’arcipelago, è un manipolo di superstiti. NEL SUBCONTINENTE - Epicentro delle attività di gruppi «maoisti» in Asia è il Subcontinente indiano. In Nepal i combattenti del « compagno Prachanda » (il Terribile, questo il nome di battaglia del leader) si ispirano a Sendero Luminoso, la formazione radicale attiva in Perù negli anni Ottanta e ora azzerata. Realizzano strutture di base nei villaggi, terrorizzano chi non simpatizza, condannano i progetti di cooperazione internazionale ma sanno parlare anche a studenti e maestri. Il Pcn-m critica violentemente il «revisionismo borghese» dei comunisti legali e ha compiuto azioni dimostrative anche alle porte della capitale Kathmandu. In India esiste una costellazione di partitini maoisti, che dai nomi rivelano una storia di scissioni, rivalità di casta, rivendicazioni particolaristiche: « Partito comunista indiano marxista-leninista (Guerra popolare) », « Partito comunista indiano marxista-leninista (Unità di partito) », Centro comunista maoista ... Compiono tutti azioni violente in diversi stati orientali, a volte collaborando a volte combattendosi. Li si classifica genericamente come naxaliti dalla località di Naxalbari, Bengala Occidentale, teatro di una ribellione contadina repressa nel ’67. Da allora la rivolta non si è più placata, annoverando tra i suoi nemici anche il Mahatma Gandhi, con il suo pacifismo e fatalismo «funzionali alla borghesia». E dalle pieghe della geografia e della Storia la propaganda rilancia il suo grido. Nel nome di Mao.