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Kashmir, storia di un conflitto

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Rassegna stampa curata saltuariamente da Marco Vasta


31/12/2003  In Nepal, la «guerriglia del popolo» dei nuovi maoisti


dal 31/12/2003 al 31/12/2003 Stato: Nepal

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Fonte:Le Monde Diplomatique

In Breve (lingua: Italiano )

Da quando, il 4 ottobre 2002, il re Gyanendra ha ottenuto le dimissioni del capo del governo Sher Bahadur Deuba e sciolto il parlamento, il regno del Nepal è nel caos. Mentre i principali partiti politici esigono che il potere torni al parlamento, i ribelli maoisti chiedono la fine della monarchia. In questo paese che figura tra i più poveri del mondo, il loro movimento è alimentato dalla miseria e dalla corruzione. Dopo la rottura, il 27 agosto, di un fragile cessate il fuoco di sette mesi, gli scontri sono ripresi. Dal 1996 si contano 8.200 morti, di cui 330 dalla fine della tregua.


Contenuto di: In Nepal, la «guerriglia del popolo» dei nuovi maoisti

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Rivolta della fame in Himalaya
In Nepal, la «guerriglia del popolo» dei nuovi maoisti


Da quando, il 4 ottobre 2002, il re Gyanendra ha ottenuto le dimissioni del capo del governo Sher Bahadur Deuba e sciolto il parlamento, il regno del Nepal è nel caos. Mentre i principali partiti politici esigono che il potere torni al parlamento, i ribelli maoisti chiedono la fine della monarchia. In questo paese che figura tra i più poveri del mondo, il loro movimento è alimentato dalla miseria e dalla corruzione. Dopo la rottura, il 27 agosto, di un fragile cessate il fuoco di sette mesi, gli scontri sono ripresi. Dal 1996 si contano 8.200 morti, di cui 330 dalla fine della tregua.

Cédric Gouverneur
Nel cuore del distretto di Rukum, nell'ovest povero del Nepal, i maoisti della guerriglia comunista hanno il loro feudo. Montagne isolate dal resto del mondo ma sovrappopolate, una miseria dantesca. I bambini scheletrici, tra cui molti con il ventre gonfio per la mancanza di cibo, sono coperti di stracci. Qui non c'è elettricità, acqua corrente, strade e il medico più vicino si trova a due giornate di marcia a piedi. Un malato ha spesso due sole possibilità: guarire o morire.
Il primo campo di rieducazione del Nepal maoista è stato creato in fondo a una valle isolata, nella fattoria di un «capitalista» espulso.
«Questi usurai sfruttavano una famiglia di contadini, costretta a lavorare senza uno stipendio per rimborsare i suoi debiti», spiega il «compagno Sagalmatha», 18 anni appena. «Li abbiamo cacciati».
Poi indica un ragazzo: «È il nipote del capitalista. Può rimanere, è innocente. Solo gli autori di crimini contro il popolo devono andare via». Sagalmatha fa un gesto verso le risaie a terrazze. «Oggi queste terre appartengono al partito e l'intera comunità ne approfitta.
Abbiamo anche costruito un mulino». Assenso di rigore da parte degli abitanti del villaggio. I maoisti hanno un concetto molto ampio del termine «capitalista»: le terre requisite non superano i pochi ettari.
Da queste parti un semplice appezzamento di terra è sinonimo di ricchezza.
La prigione nel cortile Giovani guerriglieri e bambini si mescolano nel cortile di questa fattoria trasformata in campo di rieducazione. «Durante la giornata i detenuti lavorano i campi e la sera imparano, con il marxismo-leninismo, a comportarsi bene nella nuova società», spiega Sagalmatha nel suo linguaggio ufficiale. «Sono stati giudicati da un tribunale composto da combattenti e almeno una persona conosceva il diritto».
La maggior parte dei detenuti è in permesso, in visita presso la propria famiglia. Solo una donna è rimasta ma, impaurita, si rifiuta di testimoniare. «Alcuni evadono durante i permessi, ma non possiamo continuare a tenere gente in prigione, come nelle carceri dei reazionari», continua il guerrigliero. «Qui abbiamo degli assassini, dei ladri, dei mariti violenti, degli alcolizzati». I maoisti hanno vietato l'alcol nelle loro terre: troppe violenze domestiche. «Tra i detenuti ci sono anche i giovani che hanno avuto relazioni sessuali prima del matrimonio, compresi dei combattenti». Un «crimine» punito qui «con pene da cinque a otto mesi di prigione»: poiché gli insorti comprendono un terzo di donne e sono attribuiti loro dei costumi leggeri, vogliono dimostrarsi irreprensibili. E i giocatori, che dilapidano i pochi soldi della famiglia, sono condannati al carcere?
«No», sorride cinicamente Sagalmatha. «Ci limitiamo a obbligarli a mangiare le loro carte». Snoda poi il suo fazzoletto e vi legge un'iscrizione ricamata: «Viva il marxismo-leninismo-maoismo-prachandismo».
Prachanda, «il potente», è lo pseudonimo di Pushpa Dahal, presidente del Partito comunista maoista nepalese (Cpn-M).
I ribelli hanno iniziato la loro «guerra del popolo» nel febbraio 1996 e hanno effettuato i primi attacchi nella regione di Rolpa (300 chilometri da Katmandu) con l'obiettivo di rovesciare la monarchia costituzionale (1). Circa 8.000 persone sono state uccise dall'inizio della rivolta; secondo l'organizzazione non governativa (Ong) nepalese Insec, un terzo delle vittime sono state uccise dai maoisti, due terzi dalle forze di sicurezza (2). «La violenza maoista è selettiva, diretta contro obiettivi precisi», conferma a Katmandu il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr).
Il controllo della guerriglia maoista sulla popolazione si basa tanto sulla coercizione fisica quanto su un reale sostegno popolare, poiché le loro misure aiutano i più deboli: le donne - felici del divieto dell'alcol e delle scommesse, dell'uguaglianza nei diritti di successione e della fine dei matrimoni obbligati - le minoranze etniche (il 35% della popolazione), alle quali i rivoluzionari promettono l'autonomia, e le caste più umili. Come gli intoccabili, che adesso possono parlare liberamente ed esprimere la loro soddisfazione: «Hanno vietato le umiliazioni nei nostri confronti». Ufficialmente abolito nel 1963, il sistema delle caste continua a esistere in questo regno indù.
Nelle campagne gli intoccabili (dalits, il 21% della popolazione) non possono recarsi al tempio, prendere l'acqua nei pozzi, vendere i loro prodotti, toccare il cibo altrui. A volte alcuni sono torturati per «stregoneria» da un intero villaggio. «Se un brahmano ci maltratta, i maoisti lo picchiano». I dalits sorridono. «Parlano di uguaglianza fra gli uomini. Si può finalmente andare al tempio. Danno dei corsi di alfabetizzazione gratuiti ai bambini e agli adulti». Che cosa impariamo? «A leggere, a scrivere, a far di conto per non farci rubare dai commercianti. E anche la storia politica, il socialismo».
Lavoro infantile e arroganza feudale «La gente vuole un cambiamento politico e i maoisti ne approfittano: sono arrivati e hanno cominciato a succhiare le forze del popolo, come sanguisughe», ironizza Yadav, un vecchio contadino incontrato in un misero villaggio. «I maoisti e lo stato sono due pietre che si scontrano e in mezzo c'è il popolo. Certo, i maoisti hanno costruito ponti, sistemato i sentieri. Aiutano i contadini nei campi, puniscono l'assenteismo dei professori, cacciano gli usurai. Ma ne abbiano abbastanza della loro violenza, vogliamo la pace» (3). Gli altri abitanti del villaggio annuiscono, la gente comincia a parlare. Il maestro elementare interviene: «Devo pagare un'imposta rivoluzionaria.
Hanno cambiato il programma scolastico, dicono che la religione è l'oppio dei popoli». Qualcosa di incomprensibile per gli abitanti di un piccolo villaggio dove l'induismo è parte integrante della vita quotidiana. Tacciono quando arrivano, pugnale tradizionale kukhri alla cintola, alcuni giovani ribelli.
Chi prova stupore di fronte alla nascita di una guerriglia comunista dottrinaria nel 2003, deve considerare la situazione sociale del Nepal. In questo paese privo di risorse naturali, il 71% degli abitanti vive in una povertà assoluta e l'80% della popolazione sopravvive grazie all'agricoltura. «La crescita agricola, del 2,2% annuo, è insufficiente», spiega Laurent Chazée, esperto della Banca asiatica di sviluppo a Katmandu. «I contadini hanno spesso solo un terzo di ettaro. È un terzo della quantità di terra necessaria per sopravvivere».
Le disparità sociali sono abissali: il 46,5% dei redditi è nelle mani del 10% della popolazione. Al contrario, centinaia di migliaia di persone, bambini compresi, rompono sassi lungo i fiumi e rivendono la ghiaia ottenuta per mezzo dollaro al giorno.
Il lavoro infantile è generalizzato: l'Ong nepalese Cwin ha contato 127.000 bambini sfruttati, spesso per 4 dollari al mese, e precisa che «il 90% dei casi sfugge alle statistiche» (4). A parte le esigenze di base, l'istruzione e le cure mediche sono a pagamento: lussi inaccessibili per la maggior parte della popolazione. Conseguenza: due nepalesi su tre sono analfabeti e ogni due ore una donna muore di parto. Il bilancio dello stato è finanziato per oltre il 25% dalle rimesse degli emigrati e per il 50% dall'aiuto internazionale (5). La corruzione è endemica: una fonte autorevole ritiene che «solo il 3% degli aiuti arrivi a destinazione. Il resto è sottratto illegalmente: l'élite pensa troppo in termini di caste gerarchizzate ed ermetiche per preoccuparsi dei più deboli».
L'incuria e l'arroganza di questo stato scandalizzano l'uomo della strada. Un esempio: l'ultima forma di «schiavitù» è stata abolita solo nel luglio 2000, con la liberazione di 226.000 kamaiyas, lavoratori agricoli costretti in condizioni di semischiavitù, e delle loro famiglie.
Ma in mancanza di qualunque sostegno sociale, questi lavoratori sono da allora senza una casa, senza risorse, completamente dimenticati.
E il bilancio votato nel luglio 2003 prevede di concedere loro mezzo dollaro all'anno! Conseguenza di una lotta accanita, la democrazia parlamentare stabilita nel 1990, anche se ha finalmente permesso la libertà di espressione, ha rafforzato l'influenza dei notabili locali con le loro pratiche quasi feudali: corruzione, discriminazioni fondate sulla casta o sull'etnia, usura, abusi di ogni genere. Quattordici governi si sono succeduti in tredici anni. Nell'ottobre 2002 il re Gyanendra ha di fatto sospeso l'attività parlamentare e ha il pieno controllo del governo. «L'élite conservatrice, anche a sinistra, ha come obiettivo la conservazione delle strutture tradizionali e delle relazioni sociali. In mancanza di qualunque controllo statale, le elezioni si sono trasformate in una sorta di prelievo di fondi», scrivono alcuni politologi nepalesi (6).
Nelle zone rurali la presenza statale si riduce al pagamento delle tasse - senza alcuna prestazione in cambio - alle sevizie di una polizia corrotta e alla presenza sulle banconote dell'effige di un re autoritario e impopolare: Gyanendra, al potere dal massacro del giugno 2001 (7). A Gorahi, città sotto il controllo dell'esercito, si è svolta il 7 luglio scorso una manifestazione organizzata per l'anniversario del monarca: c'era un solo spettatore.
Nel 1992 questo stato, spinto dalle istituzioni finanziarie internazionali, si è lanciato in un processo neoliberale di privatizzazioni, facendo scomparire i pochi servizi esistenti: l'acqua potabile e la sicurezza sono diventate delle opportunità di mercato. Anche se dopo una breve ripresa economica è apparsa una nuova classe di consumatori, la corruzione ha fatto fuggire i primi investitori.
Insurrezione a carattere nazionale In condizioni del genere non deve sorprendere quindi se una parte della popolazione ha fatto ricorso alla violenza per cercare di cambiare la propria condizione sociale. Già nel 1992 alcuni osservatori, facendo riferimento all'organizzazione insurrezionale Sendero luminoso, annunciavano per il Nepal uno «scenario peruviano». «La gente benestante di Katmandu parla del terrore maoista, senza rendersi conto che la guerriglia dispone di una base sociale molto forte», osserva Rita Manchada, membro del South Asian Human Rights Forum (Sahrf) e giornalista della rivista inglese Frontline. «I maoisti sono la conseguenza diretta della corruzione e dell'incompetenza del potere», osserva a sua volta Rimal Madav Kumar, direttore del settimanale liberale Spotlight.
Una parola ritorna costantemente sulla bocca di ogni guerrigliero intervistato: «sviluppo». Gli insorti vogliono medici, strade, ponti, elettricità, dighe e poter esportare il loro raccolto. Vogliono semplicemente uscire dalla miseria. I quadri del partito incontrati appartengono alle caste superiori: ragazzi che hanno avuto accesso all'istruzione, che hanno studiato in città, dove hanno visto le ricchezze nate dalla corruzione, dalle privatizzazioni e dal turismo. Senza un futuro, vedono nella lotta armata un'opportunità radicale di ascesa sociale: eliminare i ricchi e prendere il loro posto.
«Hanno cominciato attaccando la polizia con i kukhri e i forconi.
Poi hanno preso le armi dei poliziotti uccisi», si ricorda Yadav, un vecchio contadino di Rukum. La «guerra popolare» è cominciata sette anni fa: attualmente 10 dei 23 milioni di abitanti vive nel Nepal «liberato». La stampa di Katmandu scrive ironicamente che esiste qui, come in Cina e a Taiwan, «un paese e due sistemi».
L'insurrezione ha un carattere strettamente nazionale: nessun aiuto arriva dall'India o dalla Cina. L'unico sostegno esterno viene dal Movimento rivoluzionario internazionale (Mri), un'organizzazione maoista con sede a Londra che raggruppa i resti di Sendero luminoso, della guerriglia naxalita bengali, dei partiti bangladesi, sri-lankesi, turchi e americani (8). L'Mri ha spinto il Cpn-M a rifiutare la via delle urne e a continuare la rivolta armata. Secondo un addetto militare occidentale a Katmandu, alcuni quadri maoisti sono stati addestrati in India dai naxaliti e in Perù da Sendero luminoso. Non bisogna poi dimenticare la presenza in Nepal di numerosi e agguerriti veterani: ex gurkha, mercenari d'élite dell'esercito inglese ed ex caschi blu hanno fornito fondi e addestramento ai guerriglieri.
Cittadini impegnati e infrastrutture statali L'insurrezione ha cominciato con il terrorizzare o uccidere i notabili locali e con il distruggere le poche infrastrutture statali presenti.
Poi i ribelli hanno riempito il vuoto di potere con dei comitati (samiti) di «cittadini impegnati», organizzando la vita sociale e - in modo accessorio - la delazione. Gli oppositori attivi, gli informatori (o supposti tali) e i contadini che rifiutavano di sfamare gli insorti sono stati picchiati o uccisi. I funzionari statali, i commercianti e anche alcune Ong sono state ricattate. I giovani quadri maoisti, sfruttando il prestigio sociale fornito dall'istruzione, la minaccia delle armi e le innegabili relazioni sociali, persuadono i contadini apatici, analfabeti, dei benefici della loro rivoluzione. «I maoisti forniscono soluzioni semplici a problemi complicati», dice sospirando Subodh Raj Pyakurel, presidente dell'Insec, un'Ong di difesa dei diritti dell'uomo. «Dicono ai contadini: il proprietario ha bisogno di voi ma voi non avete bisogno di lui. Cacciatelo e, se torna, uccidetelo».
«La guerriglia conta fra 10 e 12.000 combattenti regolari e 15.000 miliziani in via di integrazione», ha calcolato il tenente colonnello N.S. Pun, ex negoziatore del governo. Anche se gli arruolamenti forzati di adolescenti sono numerosi, il Cicr smentisce le voci di un ricorso in massa a soldati bambini. Dall'altra parte vi sono 77.000 poliziotti e 45.000 soldati, poco motivati e male equipaggiati. Così, perfettamente adattati al terreno, più mobili, gli insorti hanno accumulato in poco tempo numerosi successi. «Inizialmente Katmandu non ha preso sul serio la minaccia», osserva l'addetto militare occidentale citato in precedenza. «Storicamente per le élite il Nepal è solo Katmandu e la sua valle. Poco importa loro di perdere il controllo delle montagne più lontane», aggiunge un diplomatico. Seguendo la strategia di Mao Tse Tung di accerchiamento delle città attraverso le campagne, i guerriglieri hanno non solo attaccato i posti di polizia nelle zone rurali, costringendo lo stato a limitare la sua presenza nei soli capoluoghi, ma hanno anche assediato le caserme militari nelle città.
Come nel novembre 2001 a Gorahi, capitale del distretto di Dang, dove 14 soldati e 23 poliziotti sono stati uccisi e le banche svaligiate.
«Alcuni combattenti, per lo più poveri montanari, vedevano le automobili per la prima volta», riferisce un testimone.
Stati uniti e Inghilterra addestrano l'esercito Un attacco in grande stile, che ha portato alla proclamazione dello stato di emergenza e, dopo i fatti dell'11 settembre, al crescente coinvolgimento degli Stati uniti e della Gran Bretagna, in nome della «guerra al terrorismo». L'ambasciatore americano Mike Malinowski è arrivato a paragonare questa rivolta della fame ad al Qaeda e ai khmer rossi. «Gli Stati Uniti vogliono la stabilità della regione», osserva un diplomatico, «ed evitare che il Nepal diventi uno "stato instabile" (failed state) fra la Cina e l'India». Da allora Washington ha fornito 35 milioni di euro di aiuti militari e allo sviluppo, Londra 17,5 milioni, mentre l'India ha aumentato la sorveglianza delle sue frontiere. Addestrato da una cinquantina di consiglieri militari americani, l'esercito nepalese si è dotato di 14.000 fucili d'assalto M-16 offerti da Washington e di due elicotteri russi mig-17 pagati da Londra.
Quasi 5.000 persone sono state uccise nel 2002. Torture, mutilazioni, massacri, forze dell'ordine e insorti rivaleggiano in atrocità (9).
In dicembre il Cpn-M è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dal Dipartimento di stato americano, una cosa che ha preoccupato gli insorti, spingendoli a firmare un cessate il fuoco il 29 gennaio 2003. In cambio il Nepal ha annunciato in luglio l'invio in Iraq di 900 soldati. Tuttavia il 27 agosto la tregua è stata rotta dai maoisti, a causa del continuo rifiuto del governo di accettare la loro principale richiesta, l'adozione di una nuova costituzione nel regno.
Il governo controlla ormai solo le città e, di giorno, le strade principali. Nella stessa Katmandu i guerriglieri impongono il racket ai commercianti e alle agenzie di trekking. Ormai colpiscono in pieno centro: nel gennaio scorso hanno ucciso il capo della polizia locale e, dopo la rottura del cessate il fuoco, un colonnello. E decine di persone hanno presentato una sorta di «denuncia» in un ufficio aperto dal Cpn-M nella capitale; poiché la giustizia ufficiale è lenta e costosa, c'è chi preferisce sostituirla con i metodi radicali dei maoisti. A Katmandu come in montagna, il potere sbrigativo dell'insurrezione si sostituisce a quello dello stato, praticamente inesistente.
Durante i negoziati, l'insurrezione ha chiesto all'esercito di non allontanarsi per più di cinque chilometri dalle sue caserme. Ma la sua principale rivendicazione ha riguardato l'organizzazione di elezioni per eleggere un'assemblea costituente. Una rivendicazione irrealistica, poiché gli elettori che vivono nelle zone «liberate» non beneficiano di alcuna libertà di espressione. L'impegno del Cpn-M in favore del multipartitismo è solamente sulla carta: per ora nulla lascia indicare nei discorsi dei guerriglieri o nei loro metodi autoritari nei confronti della popolazione, un abbozzo di comportamento democratico. Le autorità di Katmandu hanno rifiutato, esigendo prima il disarmo dei ribelli.
Intanto in campo politico lo spostamento verso il centro dell'ex partito comunista Uml, diventato neoliberale, potrebbe liberare uno spazio a sinistra per il Cpn-M.
La monarchia si prepara al peggio Durante l'estate le violazioni del cessate il fuoco si sono moltiplicate: minacce nei confronti delle Ong americane, reclutamento forzato, esecuzioni di «informatori», sparatorie tra esercito e insorti e tentativo di uccisione di un ex primo ministro. Durante le trattative, mentre l'esercito rafforzato da Washington faceva pressione sul governo per limitare le concessioni (10), i ribelli hanno lanciato degli ultimatum insostenibili. Ancora prima della rottura della tregua, si stavano preparando a duri combattimenti. Una fonte medica incontrata in quel periodo ci aveva detto: «Fanno provvista di morfina per alleviare i dolori delle ferite». Intanto la monarchia si prepara al peggio: a metà agosto 27 membri della famiglia reale hanno fatto richiesta di visto per l'Europa.
Entrambi gli schieramenti rimangono persuasi di poter sconfiggere l'avversario. L'esercito reale ha dalla sua l'appoggio americano e l'isolamento internazionale dei comunisti. I ribelli ritengono che la situazione non favorevole in Iraq e in Afghanistan allontani qualunque minaccia di intervento diretto del Pentagono in Himalaya.
Puntano soprattutto sull'«infallibilità» della loro strategia di accerchiamento delle città. Del resto da un punto di vista militare la valle di Katmandu non è inespugnabile: il controllo di due strade principali, dell'aeroporto e di un deposito di benzina sarebbero sufficienti a far cadere la capitale e quindi il paese.
Quasi 10.000 persone hanno manifestato il 29 agosto a Katmandu per esortare i maoisti e il governo a riprendere i negoziati. Ma il fatto che la popolazione sia contraria a una ripresa dei combattimenti è la minore delle preoccupazioni, tanto per l'«avanguardia illuminata del proletariato» quanto per l'esercito reale e per i suoi alleati di Washington.



note:

* Giornalista.

(1) Si legga Jean-Luc Racine, «Au Nepal, les maoïstes gagnent du terrain», Le Monde diplomatique, luglio 2003.
(2) www.insec.org.np.

(3) Già nel 2001 solo il 4% dei nepalesi voleva una soluzione militare del conflitto. State of Nepal, Kanak Dixit & Shastri Ramachandaran, edizioni Himal Book, Latitpur, Nepal, 2003.

(4) Citato dal quotidiano The Himalayan, Katmandu, 6 agosto 2003.

(5) Fonti: State of Nepal, cit., e interviste a funzionari della Banca asiatica di sviluppo.
(6) State of Nepal, cit.
(7) Il 1° giugno 2001 durante la cena Dipendra, l'erede al trono, massacra la famiglia reale e si suicida. Molti ritengono che sia stato un complotto ordito da Gyanendra, fratello bistrattato del defunto re Birendra, per prendere il potere.
(8) Si legga Un mondo da conquistare, rivista telematica in italiano dei maoisti del Movimento rivoluzionario internazionale: http://www.awtw.org/italy/index.htm
(9) Rapporto 2003 dell'Insec, Katmandu.
(10) Si legga Steven C. Baker, professore universitario conservatore del Center for Security Policy, Frontpage, Los Angeles, luglio 2003 (www.frontpagemag.com/Articles/ReadArticle.asp?ID=9090). Per l'autore un Nepal comunista sarebbe una seconda Corea del nord o una base potenziale per al Qaeda. (Traduzione di A. D. R.)


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