30/09/2002
Cina e Tibet, un piccolo disgelo - di Anna Della Moretta |
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Dopo 20 anni funzionari cinesi incontrano gli inviati del Dalai Lama in Lhasa
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Fonte: | Giornale di Brescia |
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(lingua: Italiano
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Prove di dialogo per Pechino, che cerca di migliorare la propria immagine con l’Occidente di Anna Della Moretta
«Spero sinceramente che la dirigenza cinese troverà il coraggio, la saggezza e la visione per poter risolvere il problema tibetano attraverso dei negoziati. Non solo sarebbe utile per creare un’atmosfera politica che aiuterebbe una transizione morbida della Cina verso una nuova era ma migliorerebbe anche la sua immagine internazionale. Inoltre avrebbe anche un forte e positivo impatto sul popolo di Taiwan e migliorerebbe le relazioni sino-indiane creando un’atmosfera di genuina fiducia. I tempi del cambiamento sono anche i tempi delle opportunità. Credo veramente che un giorno ci sarà la possibilità di dialogo e pace poiché non ci saranno alternative per la Cina o per noi. L'attuale situazione in Tibet non può alleviare le sofferenze dei tibetani o portare stabilità e unità alla Repubblica Popolare Cinese». Le parole, pronunciate dal Dalai Lama, la massima autorità spirituale del Buddhismo tibetano lo scorso marzo in occasione del 43° anniversario dell'insurrezione nazionale tibetana, lette oggi sembrano quasi una profezia. Infatti, per la prima volta dopo quasi vent'anni a Lhasa, capitale del Tibet, funzionari cinesi di alto livello hanno avuto nei giorni scorsi colloqui con i rappresentanti del Dalai Lama.
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di: Cina e Tibet, un piccolo disgelo - Giornale di Brescia 30settembre 2002
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Dopo diciassette anni, una delegazione del leader spirituale buddhista in visita semi-ufficiale a Lhasa
Prove di dialogo per Pechino, che cerca di migliorare la propria immagine con l’Occidente
di Anna Della Moretta (Nella foto Lodi Gyari)
«Spero sinceramente che la dirigenza cinese troverà il coraggio, la saggezza e la visione per poter risolvere il problema tibetano attraverso dei negoziati. Non solo sarebbe utile per creare un’atmosfera politica che aiuterebbe una transizione morbida della Cina verso una nuova era ma migliorerebbe anche la sua immagine internazionale. Inoltre avrebbe anche un forte e positivo impatto sul popolo di Taiwan e migliorerebbe le relazioni sino-indiane creando un’atmosfera di genuina fiducia. I tempi del cambiamento sono anche i tempi delle opportunità. Credo veramente che un giorno ci sarà la possibilità di dialogo e pace poiché non ci saranno alternative per la Cina o per noi. L'attuale situazione in Tibet non può alleviare le sofferenze dei tibetani o portare stabilità e unità alla Repubblica Popolare Cinese». Le parole, pronunciate dal Dalai Lama, la massima autorità spirituale del Buddhismo tibetano lo scorso marzo in occasione del 43° anniversario dell'insurrezione nazionale tibetana, lette oggi sembrano quasi una profezia. Infatti, per la prima volta dopo quasi vent'anni a Lhasa, capitale del Tibet, funzionari cinesi di alto livello hanno avuto nei giorni scorsi colloqui con i rappresentanti del Dalai Lama. Contatti tra Pechino e il Dalai Lama erano iniziati nel 1979, ma vennero sospesi dal governo cinese nel 1993. E risale al 1985 l’ultima visita di una delegazione del leader spirituale in esilio in Tibet. L’incontro dei giorni scorsi - che il governo cinese definisce comunque un fatto privato, cercando di ridimensionare la visita - è avvenuto tra il presidente regionale del Tibet, Leg Qog e Lodi Gyari, uno dei leader tibetani in esilio che contesta il diritto della Cina di governare sul Paese a nord dell'Himalaya. Leg Qog ha dichiarato che il Dalai Lama sarà il benvenuto in Tibet - dal quale manca dal 1959, anno in cui si rifugiò in esilio nel nord della vicina India - a due condizioni: «Egli deve essere patriottico, deve venire come cittadino cinese e non deve dividere lo stato cinese». Due condizioni non nuove, che Pechino ripete da anni, anche se tra le righe si legge uno spiraglio di apertura che in questa fase serve alla Cina per avere una ulteriore legittimazione a livello internazionale. Siamo infatti alla vigilia del XVI Congresso del partito comunista cinese in calendario per novembre, durante il quale si delineerà la politica futura del grande Paese asiatico e se la questione del Tibet, almeno a livello interno, non pare rappresentare un problema, di certo le pressioni internazionali sulla vicenda hanno un loro peso sulle decisioni programamtiche. Alle pur prudenti dichiarazioni del presidente regionale del Tibet, hanno fatto seguito il giorno dopo quelle di Kong Quan, portavoce del ministero degli Esteri cinese. Ed hanno raffreddato di nuovo gli animi: «Se il Dalai Lama terminerà le sue attività separatistiche e riconoscerà il Tibet come parte inalienabile della Cina, che Taiwan fa parte della Cina e che il Governo della Repubblica popolare cinese è l'unico rappresentante legittimo della Cina, allora potremo avere colloqui con il Dalai Lama». Dunque, le stesse condizioni decise dal presidente cinese Jiang Zemin nel 1997, quattro anni dopo la rottura del dialogo formale tra Pechino e Dharamsala, il Paese nel nord dell'India sede del Governo tibetano in esilio. Eppure, qualche segnale positivo da Pechino dev’esserci stato. Il Dalai Lama, nel discorso di marzo, disse infatti: «Appena ci saranno dei segnali positivi da Pechino, i miei rappresentanti saranno pronti ad incontrarsi con i funzionari del governo cinese in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo. La mia posizione sulla questione tibetana è netta. Non chiedo l'indipendenza. Come ho detto molte volte in passato, chiedo che al popolo tibetano sia data l’opportunità di esercitare un autentico autogoverno per poter preservare la sua civiltà e la sua peculiare cultura, religione, lingua e perchè il suo stile di vita possa crescere e continuare a vivere. Per questo è indispensabile che i tibetani siano liberi di gestire i loro affari interni e scegliere liberamente il loro sviluppo sociale, economico e culturale». Una richiesta di maggior autonomia nella quale i cinesi leggono, di fatto, un tentativo di indipendenza. Dopo l’incontro a Lhasa tra il presidente del governo regionale del Tibet e il leader tibetano, Tenzin Taklha, deputato segretario del Dalai Lama, ha detto: «Si è trattato di un avvenimento molto importante», a conferma che, dopo anni di gelo, la diplomazia ha ripreso il suo corso. Il Dalai Lama è ancora molto venerato in Tibet, malgrado i tentativi di discredito del governo cinese che, tuttavia, sembra aver ammorbidito la sua posizione: nei mesi scorsi sono stati rilasciati sei importanti detenuti politici e il fratello del Dalai Lama, che ha sempre fatto da mediatore tra le due parti, è stato in visita privata in Tibet.
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lunedì 05 maggio 2003
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