11/09/2002
Amnesty: da 11 settembre diritti umani sacrificati anche in Tibet |
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L'11 settembre ha sancito il sacrificio dei diritti umani sull'altare della sicurezza. E' quanto afferma Marco Bertotto, che in una nota diffusa in occasione dell'anniversario degli attentati negli Usa, ha tracciato un quadro drammatico del peggioramento della situazione in diversi Paesi del mondo. Secondo Amnesty, è "inutile dire che questo approccio si è rivelato fallimentare da ogni punto di vista. Innanzitutto perché a promuoverlo sono soprattutto governi che hanno "approfittato" del clima internazionale per risolvere alcune spinose questioni interne: la Cina che ha accentuato la persecuzione dei gruppi separatisti in Tibet, Mongolia interna e Xinjiang e la Russia che ha ottenuto un lasciapassare per intensificare la campagna militare e repressiva in Cecenia".
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MILANO (Reuters) - L'11 settembre ha sancito il sacrificio dei diritti umani sull'altare della sicurezza. E' quanto afferma Marco Bertotto, che in una nota diffusa in occasione dell'anniversario degli attentati negli Usa, ha tracciato un quadro drammatico del peggioramento della situazione in diversi Paesi del mondo.
GIRO DI VITE, IN TUTTO IL MONDO CITTADINI MENO TUTELATI Secondo il presidente di Amnesty, in Bielorussia, una normativa approvata lo scorso dicembre autorizza la perquisizione di edifici senza l'approvazione dell'autorità giudiziaria; il sistema repressivo dell'Egitto (caratterizzato da tortura e processi iniqui) è stato suggerito dallo stesso governo del Cairo come modello efficace di lotta al terrorismo per i paesi occidentali. mentre in Pakistan, gli emendamenti alla legge sulla sicurezza nazionale mettono a rischio l'indipendenza della magistratura e stabiliscono la partecipazione di personale militare alle giurie chiamate ad occuparsi di processi per "terrorismo". L'atto sull'antiterrorismo introdotto lo scorso anno nel Regno Unito, dice ancora Amnesty, consente la detenzione a tempo indeterminato, senza accusa né processo, di cittadini stranieri sospettati di collusione con il terrorismo internazionale. Infine, l'ordinanza sulla sicurezza e l'ordine pubblico nello Zimbabwe, entrata in vigore a gennaio, vieta le manifestazioni e criminalizza chiunque esprima critiche nei confronti della polizia, delle forze armate o del presidente Mugabe.
ANTITERRORISMO PRETESTO PER LA REPRESSIONE "Sono, questi, solo alcuni degli episodi più significativi per raccontare, senza troppi giri di parole, in quale mondo viviamo ad un anno di distanza dall'immane tragedia dell'11 settembre 2001", dice il presidente di Amnesty International. "Promulgando nuove leggi e facendo ricorso alla vecchia brutalità, in tante circostanze i governi - a partire da quello degli USA, dove ora un sistema di "giustizia di seconda classe" si fonda su detenzioni arbitrarie e tribunali militari - hanno finito per sacrificare i diritti umani sull'altare della sicurezza e dell'antiterrorismo. Secondo Amnesty, l'obiettivo della "sicurezza a tutti i costi" si è trasformato in un pretesto, quasi una forma di legittimazione preventiva per colpire gli oppositori e le minoranze e giustificare nuove forme di repressione e di riduzione delle libertà fondamentali. "La vera novità che abbiamo di fronte sta nella diffusione di un paradigma inedito, che considera apertamente i diritti umani come un ostacolo alla sicurezza e ritiene di poter sconfiggere il 'terrorismo' con i soli strumenti della repressione: intervenendo quindi esclusivamente sui sintomi del fenomeno e non affrontando la radice vera dei problemi di ingiustizia e privazione che, su scala planetaria, rappresentano un terreno fertile per i disordini e la violenza". Secondo Amnesty, è "inutile dire che questo approccio si è rivelato fallimentare da ogni punto di vista. Innanzitutto perché a promuoverlo sono soprattutto governi che hanno "approfittato" del clima internazionale per risolvere alcune spinose questioni interne: la Cina che ha accentuato la persecuzione dei gruppi separatisti in Tibet, Mongolia interna e Xinjiang e la Russia che ha ottenuto un lasciapassare per intensificare la campagna militare e repressiva in Cecenia". Per l'associazione umanitaria, il pretesto della sicurezza internazionale ha fornito la più efficace delle coperture ai paesi che si sono raccolti intorno all'alleanza globale contro il terrorismo guidata dagli USA e ha prodotto nell'opinione pubblica appariscenti fenomeni di "indignazione a singhiozzo": "Il mondo intero si è scandalizzato per l'imposizione del burqa, cui sono state costrette per lunghi anni le donne afgane (in verità, non solo durante il regime dei talebani, e su questo quanti rapporti di Amnesty International sono passati inosservati!), eppure nessuno solleva il problema dei diritti delle donne in un paese come l'Arabia Saudita o a rischio di lapidazione in diversi altri paesi. Inoltre, rileva Amnesty, "l'Iraq di Saddam Hussein è indicato oggi come il più sanguinario dei regimi tanto che è in corso un intenso dibattito per valutare l'opportunità di un'operazione militare, ma gli abusi e la pressoché completa assenza di libertà e diritti politici in paesi alleati (e mercati) come la Cina non sembrano oggetto di preoccupazioni così diffuse". "Ciò di cui abbiamo davvero bisogno - conclude l'associazione umanitaria - soprattutto da un anno a questa parte, non è tanto una guerra contro il terrorismo ma una mobilitazione globale a favore dei diritti umani. L'11 settembre 2002 è una data simbolica che può aiutare a ricordarcelo!".
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