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Kashmir, storia di un conflitto

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Rassegna stampa curata saltuariamente da Marco Vasta


21/07/2002  Il Ladakh travolto dallo «sviluppo» (di Marina Serra)


dal 21/07/2002 al 21/07/2002 Stato: Kashmir

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Regione: Ladakh Dipartimento: -
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Fonte:il Manifesto

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In pochi anni Leh - meravigliosa cittadina con appena due strade lastricate e l'atmosfera di un villaggio - è diventata uno scomposto agglomerato di «colonie residenziali» senz'anima, muri sverniciati, metallo mezzo arrugginito, vetri rotti, rifiuti di plastica, fumi pestilenziali di veicoli e scooter. In sedici anni la popolazione è raddoppiata, «le persone hanno lasciato i villaggi per andare in quegli slum affollati, senza spazio, tra rigagnoli d'acqua sporca». Una vita economica autosufficente è venuta meno: «La struttura sociale e quella ecologica hanno cominciato a disgregarsi, per la prima volta sono comparsi inquinamento, disoccupazione, competizione tra gruppi e comunità».


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Il Ladakh travolto dallo «sviluppo»


MARINA FORTI,

Il Ladakh, detto anche «piccolo Tibet», è una regione di montagne e valli sui 6.000 metri d'altezza, nell'Himalaya. Fa parte dello stato di Jammu e Kashmir (India). E' un territorio estremo, una sorta di deserto d'alta quota arso dal vento, poco piovoso, battuto da un sole spietato, dunque con risorse limitate: poca acqua, frutteti e campi d'orzo come oasi verdi attorno a piccoli ruscelli, circondate da picchi rocciosi. Per molto tempo il Ladakh è stato relativamente isolato - ma non del tutto, faceva parte di antiche rotte commerciali. Poi nel 1974 il governo indiano ha deciso di aprirlo al turismo - prima gli stranieri non avevano il permesso di andarvi. «Da allora, la vita dei ladakhi è cambiata in modo drammatico», spiega Helena Norberg-Hodge, svedese, che questo cambiamento ha visto di prima mano. Come linguista (ha studiato con Noam Chomsky al Mit), Norberg-Hodge è arrivata in Kadakh quasi trent'anni fa, nel 1975. In pochi mesi ha imparato a parlare con scioltezza il ladakhi, poi ha cominciato a fare ciò che fa una linguista: raccogliere le storie tradizionali, comporre un dizionario, studiare la relazioni sociali e la cultura di quei villaggi. «L'influenza esterna non aveva ancora avuto grande impatto sul Ladakh», ricorda. Anzi, le vicende della storia l'avevano isolato: la divisione tra India e Pakistan nel `47, poi la guerra tra India e Cina nel `62. Da allora l'esercito lo presidia, contro incursioni pakistane o cinesi. E' l'esercito che ha costruito le strade tra la capitale Leh e Srinagar in Kashmir. o Manali sul versante meridionale dello spartiacque himalayano. La strada, il turismo, l'aereoporto, le infrastrutture: infine anche il Ladakh è stato collegato al flusso dell'economia globalizzata. Come avviene un po' ovunque, l'attività economica e il denaro si sono concentrati nella capitale. In pochi anni Leh - meravigliosa cittadina con appena due strade lastricate e l'atmosfera di un villaggio - è diventata uno scomposto agglomerato di «colonie residenziali» senz'anima, muri sverniciati, metallo mezzo arrugginito, vetri rotti, rifiuti di plastica, fumi pestilenziali di veicoli e scooter. In sedici anni la popolazione è raddoppiata, «le persone hanno lasciato i villaggi per andare in quegli slum affollati, senza spazio, tra rigagnoli d'acqua sporca». Una vita economica autosufficente è venuta meno: «La struttura sociale e quella ecologica hanno cominciato a disgregarsi, per la prima volta sono comparsi inquinamento, disoccupazione, competizione tra gruppi e comunità».

Helena Norberg-Hodge, che ho incontrato giorni fa durante un meeting nella tenuta di San Rossore, in Toscana, descrive tutto ciò in un libro tradotto in italiano: Futuro arcaico. Lezioni dal Ladakh, Arianna editrice, dicembre 2000 (l'originale è del 1991). Mi fa un esempio: «Le persone erano molto orgogliose di ciò che avevano. Ricordo un villaggio di bellissime case intonacate di bianco: avevo chiesto di mostrarmi le case povere. Mi avevano risposto che non ce n'erano. Dieci anni dopo ho sentito le stesse persone, nello stesso villaggio, dire a dei turisti `aiutateci, siamo così poveri'. Eppure a quel punto giravano molti più soldi, prima gli scambi erano quasi tutti senza denaro». Per parare gli «effetti collaterali» dello sviluppo, Helena Norberg-Hodge ha messo in piedi il Progetto Ladakh, per preservare i sistemi agricoli tradizionali, le energie alternative; promuovere programmi educativi e sociali (International Society for Ecology and Culture: www.isec.org.uk). Per questo ha avuto nel 1986 il Right Livelihood Award, noto come «premio Nobel alternativo».

Descrivere la trasformazione del Ladakh serve però alla studiosa svedese per sostenere una tesi più generale: «L'economia globalizzata distrugge le economie locali, oltre che le culture, e provoca l'impoverimento di intere popolazioni». Per proteggere la piccola agricoltura e le economie locali, Norberg-Hodge auspica «un movimento dal globale al locale», basato sulla partecipazione diretta dei cittadini e delle comunità: non una somma di localismi, ma «un vero movimento globale».


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