Invitato a TRENTO INSEGUIAMO la pace, confidiamo nella religione, ma non abbracciamo una fede al posto di un’altra spinti da snobismo, moda o depressione.
E’ un Dalai Lama sorridente e concreto quello che parla a quasi tremila persone in piazza della Fiera. La mattina l’ha trascorsa con il presidente della Provincia Lorenzo Dellai, il vicepresidente Roberto Pinter e il sindaco Alberto Pacher. L’esiliato capo - religioso e politico - di un TIBET occupato dalla Cina è venuto qui per una sorta di master sull’autonomia in uno Stato. Non si sente un docente internazionale il presidente Dellai, ma punto di riferimento sì: «Il Dalai Lama è interessato a questo modello, perché non pone l’autonomia come antitesi allo Stato, bensì come anello di congiunzione, possibilità per ogni tipo di minoranza. Non a caso con l’ambasciatore (appena tornato dalla Germania) Enzo Perlot, nuovo presidente dell’Ateneo, abbiamo creato l’Università a colori, vale a dire borse di studio aperte a tutti i Paesi del mondo». Autonomia come dialogo e come riscoperta di un ruolo di confine. Poi scambi, corsi di formazione per futuri dirigenti politici. E su questo il Dalai Lama, Tenzin Gyatso, premio Nobel per la pace nel 1989, ha molto da dire.
Che cosa si porta a casa? «Per esempio un piccolo dono, una campana, che per noi è simbolo di vacuità. Ebbene, quando la sentirò, saprò che ha un altro valore, quello della raccolta, dell’amicizia». Questo sul piano emotivo e spirituale. E in concreto? «Una grande disponibilità, un aiuto vero. La possibilità di lavorare intorno a un modello di autonomia che faccia il bene di tutte le parti».
Lei ha detto stamane che il TIBET giovava alla Cina stessa. «E’ così. Il TIBET terra di confine era luogo di transito del dialogo fra i due giganti, India e Cina. Da quando è stato occupato e depersonalizzato anche i rapporti fra loro si sono induriti. Il TIBET non chiede indipendenza e il governo cinese dice che vado in giro a mentire a tutti. Sto parlando a un gruppo di matti o di ingenui?».
Oggi si parla di globalizzazione, di un G8 con i potenti che decidono destini. E le tute bianche contestano quel potere. «Dico subito che la globalizzazione è un processo che non si può fermare. E ha anche aspetti positivi. Non mi scandalizzo se le popolazioni nomadi del TIBET, che sono sempre vissute di pastorizia, oggi hanno un thermos per il té. L’importante è salvaguardare le identità. Mi scandalizzo invece di fronte a pericoli reali».
E quali sono i pericoli? «Sono le economie forti, le multinazionali che intervengono in paesi poveri con rapporti di forza che devastano l’economia locale e distruggono l’appartenenza. A questo si deve guardare, come all’ambiente». E il popolo di Seattle che si appresta a invadere Genova? «Sono convinto che per richiamare l’attenzione su problemi di fondo, come l’ambiente e le disparità economiche, siano più che legittime le manifestazioni di piazza, purché tengano lontane da sé le violenze, di qualunque tipo».
C’entra anche la religione? «La religione è fondamento. Buddha non ha insegnato soltanto spiritualità. Ha insegnato a vivere il giorno per giorno». E i rapporti fra religioni? «Tutte le religioni hanno basi comuni: la tolleranza, il perdono, l’autodisciplina».
La Chiesa cattolica le mette in pratica? «Abbiamo avuto scambi importanti con il Vaticano, soggiorni di nostri monaci nei vostri conventi e viceversa. Noi abbiamo trasmesso tecniche di concentrazione, meditazione, sviluppo di gentilezza. Loro ci hanno colpiti per un impegno sociale tanto forte, tanto presente rispetto alla nostra vita monastica»
E l’incontro fra religioni? «Giovanni Paolo II sta facendo molto per la riconciliazione. Basti pensare alla richiesta di perdono per pezzi di Storia. Questo è molto bello».
La Chiesa cattolica fa i mea culpa e tanti occidentali - soprattutto personaggi noti, per esempio del mondo dello spettacolo - rincorrono il buddhismo. La gratifica la cosa? «Con franchezza il consumismo della spiritualità mi preoccupa. Nel cammino di una persona ci sono motivazioni diverse, ma io credo che su un milione di individui che pensano a una conversione uno soltanto abbia profonde spinte. Se si cresce dentro una tradizione religiosa non la si lascia pensando che un’altra dia un benessere spirituale o psicologico. Ciascuno continui con la sua tradizione. Ma, soprattutto, se cambiate, ricordatevi sempre di non criticare e umiliare la religione che avete appena lasciato. Rispettatela con amore». |