Cincin dimesso, dettagli da accordo doganale ma retorica da grandi occasioni: così a Pechino i premier di Cina e India hanno annunciato «una svolta» nei loro quarantennali rapporti di «cattivi vicini». Il disgelo tra i due giganti dell’Asia (che insieme contano un terzo dell’umanità) comincia a Nathu La, «il passo dell’orecchio in ascolto» che dopo la guerra sino-indiana del 1962 ha «udito» passare soltanto il vento gelido dell’Himalaya orientale, le rade pattuglie di frontiera, i rari monaci buddisti in fuga verso sud. E qualche lettera: negli ultimi tempi ai postini indiani era permesso lanciare oltre il filo spinato la corrispondenza per Lhasa, la «capitale» del Tibet che sta a due giorni di auto verso nord.
Originale: New Delhi riconosce la sovranità di Pechino sulla regione. Spiazzando il Dalai Lama (lingua: Italiano
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«Svolta» nei rapporti tra i due giganti asiatici rivali. Il governo tibetano in esilio parla per il momento di «segnale positivo»
Accordo sul Tibet, disgelo tra India e Cina
New Delhi riconosce la sovranità di Pechino sulla regione. Spiazzando il Dalai Lama
Niente champagne per «l’accordo sul Tibet». Due bicchieri di succo di mela alle sette della sera. Si brinda, sulla carta, alla riapertura di uno sperduto passo himalayano, una mulattiera sull’antica Via della Seta a 4400 metri di altezza, tra Tibet e Sikkim, nevi eterne e un filospinato che sembrava anch’esso perenne. Cincin dimesso, dettagli da accordo doganale ma retorica da grandi occasioni: così a Pechino i premier di Cina e India hanno annunciato «una svolta» nei loro quarantennali rapporti di «cattivi vicini». Il disgelo tra i due giganti dell’Asia (che insieme contano un terzo dell’umanità) comincia a Nathu La, «il passo dell’orecchio in ascolto» che dopo la guerra sino-indiana del 1962 ha «udito» passare soltanto il vento gelido dell’Himalaya orientale, le rade pattuglie di frontiera, i rari monaci buddisti in fuga verso sud. E qualche lettera: negli ultimi tempi ai postini indiani era permesso lanciare oltre il filo spinato la corrispondenza per Lhasa, la «capitale» del Tibet che sta a due giorni di auto verso nord. Ora riapre la frontiera. Commercio e politica ad alta quota. «Quarantatré anni dopo una dura e stupida guerra - scrive L’Indian Express - lassù cominceranno a passare, anziché armi, burro e molte altre cose». Sono «le altre cose» a interessare le diplomazie mondiali. C’è chi legge l’avvicinamento Cina-India in chiave anti-americana. Chi scommette sulla soluzione della crisi del Kashmir tra India e Pakistan (alleato storico di Pechino). E poi c’è «il rebus tibetano». Quello dell’India è un favore o (più verosimilmente) uno sgambetto fatto al Dalai Lama e ai 100 mila tibetani che dal 1959 hanno trovato nel subcontinente un santuario per i loro sogni di libertà?
LO SCAMBIO - E’ euforico Atal Bihari Vajpayee. Un premier indiano a Pechino, per la prima volta in dieci anni. «Incontri eccellenti» dichiara. «Una fase nuova» gli fa eco il Quotidiano del Popolo , citando il premier Wen Jiabao. Per la prima volta, una dichiarazione congiunta sui «principi delle relazioni e sulla cooperazione» tra i due Paesi. La nomina di una commissione bilaterale sui contrasti di frontiera (3500 chilometri di confine comune), che una guerra e 15 round di trattative non hanno risolto. Forse questa è la volta buona. «New Delhi riconosce che il Tibet è parte della Cina» titola il Times of India . E Pechino, accettando le dogane a Nathu La, riconosce di fatto (anche se non ancora a parole) lo status quo nel Sikkim (antico regno tra Nepal e Buthan dal ’75 sotto giurisdizione indiana).
«IL DALAI LAMA» - Le email dei lettori al Times of India sono a senso unico: «Tradita la causa tibetana». «Abbiamo svenduto il Dalai Lama». A distanza, il ministro degli Esteri Sinha risponde: «La nostra posizione è la stessa di sempre. Il Dalai Lama? Non credo che la questione della sua partenza dall’India possa essere posta in questa fase». Reazioni caute dalla squadra del monaco più famoso del mondo. «La visita di Vajpayee spianerà il dialogo tra Sua Santità e la leadership cinese» dice Thubten Samphel, portavoce del «governo tibetano in esilio» con sede a Dharamsala, sulle colline dell’India settentrionale. Negli ultimi mesi Lodi Gyari, inviato dell’«Oceano di saggezza», ha ottenuto due incontri con le autorità cinesi. Ma nessuna apertura al progetto di «un genuino autogoverno del Tibet all’interno della Cina». Ora New Delhi sembra accettare lo status quo cinese. Nel ’98 lanciò test atomici mentre il governo diceva che «Pechino era il nemico numero uno». Cosa è cambiato? Jill McGivering, analista della Bbc , ricorda che le guerre americane, dall’Afghanistan all’Iraq, hanno allarmato (e riavvicinato) i giganti asiatici. Quel brindisi alla mela non deve essere piaciuto al Dalai Lama. E neppure a George Bush.