E' stato il maggiore attacco del movimento ribelle maoista in Nepal da quando è cominciata la guerriglia, sei anni fa, e il più sanguinoso: 154 morti, di cui 141 sono militari, poliziotti e funzionari governativi uccisi dai ribelli nell'assalto caserme e uffici di due remote località nel Nepal occidentale. Un attacco in grande stile, che coincide con tre scadenze delicate: la discussione parlamentare sullo stato d'emergenza, le festività religiose del capodanno tibetano e delle celebrazioni hindu per la dea Saraswati, e l'anniversario dell'inizio della guerriglia.
Originale: Un assalto dei ribelli maoisti fa 154 morti (lingua: Italiano
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Emergenza in Nepal KATHMANDU Un assalto dei ribelli maoisti fa 154 morti MA. FO.
E' stato il maggiore attacco del movimento ribelle maoista in Nepal da quando è cominciata la guerriglia, sei anni fa, e il più sanguinoso: 154 morti, di cui 141 sono militari, poliziotti e funzionari governativi uccisi dai ribelli nell'assalto caserme e uffici di due remote località nel Nepal occidentale. Un attacco in grande stile, che coincide con tre scadenze delicate: la discussione parlamentare sullo stato d'emergenza, le festività religiose del capodanno tibetano e delle celebrazioni hindu per la dea Saraswati, e l'anniversario dell'inizio della guerriglia. E ieri il governo di Kathmandu ha promesso di rispondere con durezza: l'esercito, ha detto il ministro dell'informazione Jayprakash Prasad Gupta, non sarà più sulla difensiva ma andrà all'offensiva. Mentre il premier, Sher Bahadur Deuba, ha dovuto affrontare un parlamento inferocito, che accusa il governo di non saper difendere l'ordine e la sicurezza interna. Se i deputati non appoggeranno la proroga chiesta dal governo, ha detto loro, "ci saranno ulteriori impatti negativi sul paese e nelle operazioni contro i ribelli", e "il problema maoista potrebbe trascinarsi per anni e aggravarsi...". Certo è che la ribellione nata nel Nepal rurale sei anni fa è ormai una sfida alla stabilità stessa della monarchia nepalese - l'unica monarchia hindù al mondo, un sistema costituzionale che però si regge su una struttura feudale e di casta, e in un paese poverissimo: con 220 dollari di reddito procapite annuo il Nepal, 24 milioni di abitanti, è tra i 10 paesi più poveri al mondo. L'assalto di domenica ha letteralmente cancellato la presenza dello stato in un distretto, quello di Achham, all'ovest del paese, tra vallate dove di rado si spingono i visitatori stranieri. I ribelli hanno preso d'assalto gli edifici governativi, banche e caserme nel capoluogo stesso e a Mangalsen: gli scontri sono durati fino all'alba di domenica. Sembra che i ribelli abbiano perso 13 uomini. Pare anche che avessero armi più sofisticate dei loro vecchi fucili: probabilmente sottratte a depositi dell'esercito durante gli attacchi di novembre. Salgono così a 700 i morti nella ribellione da novembre, quando il governo ha dichiarato lo stato d'emergenza di cui ora vuole un'estensione, e a oltre 2.650 da quando il partito maoista ha lanciato la guerriglia sei anni fa: tra le vittime pochissimi sono i civili, molti gli agenti di polizia e i ribelli stessi. La ribellione ha preso grande slancio dal giugno scorso, quando il Nepal ha vissuto l'inaspettato massacro di quasi tutta la famiglia reale. L'episodio rimane per molti versi oscuro - il principe della corona "impazzito" avrebbe sparato a padre, madre e gran parte di fratelli e parenti durante un banchetto a palazzo reale. Certo è che con la scomparsa del vecchio re Birendra, e la successione del fratello Gyanendra, la monarchia ha perso popolarità. Il movimento maoista, guidato dal compagno Prachanda - un ex studente di scienze agricole - aveva fatto parte del grande movimento per la democrazia che all'inizio degli anni `90 aveva spinto Birendra a rinunciare ai poteri assoluti e trasformare il regno in una monarchia costituzionale. Alle prime elezioni libere aveva avuto alcuni seggi. E' più tardi, nel `96, che ha lanciato invece il movimento armato, sostenendo non del tutto a torto che in parlamento non avrebbe mai scalfito il potere della piccola élite feudale, che è sempre riuscita a bloccare ogni tentativo di riforma agraria e ogni riforma sociale. Lo stesso partito del Congress ora al governo ne sa quelcosa: aveva promesso riforme, ma un gruppo di proprietari terrieri ha fatto causa alla Corte suprema contro la nuova legge agraria. Neppure la legge per abolire le discriminazioni di casta, in particolare la pretica dell'intoccabilità, è mai passata. E la maggioranza dei nepalesi resta dipendente da un'agricoltura di sussistenza - e dagli aiuti stranieri - con il 40% della popolazione ufficialmente considerata sotto la "soglia di povertà". In luglio il leader del Congress, Deuba, aveva assunto la carica di primo ministro promettendo di affrontare la ribellione maoista con il dialogo politico. Ma la strategia del dialogo è fallita - il governo e il partito maoista si rimpallano la responsabilità della rottura. In novembre i ribelli hanno rotto la tregua lanciando una serie di attacchi con 200 morti. Il governo ha dichiarato lo stato d'emergenza, che lascia alla polizia ampi poteri di arresti preventivi (decine di giornalisti sono stati arrestati solo per aver scritto che le ragioni dei maoisti non sono quelle di Al Qaida: 19 restano in carcere). E' prevalsa la linea di re Gyanendra, che ha ordinato all'esercito (non più solo la polizia) di scendere in guerra contro i ribelli - cosa che il defunto predecessore non aveva mai voluto fare. Il parlamento voterà venerdì se prorogare lo stato d'emergenza, al termine del dibattito cominciato ieri. Molte voci sia dell'opposizione (il partito comunista), sia dissidenti nello stesso Congress, avevano contestato la necessità della proroga. Ma ora è probabile che il governo avrà partita vinta.