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18/02/2002
Orrore in Cina: 3000 condanne a morte in sei mesi (il Nuovo)


18/02/2002 Stato: Italia

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Fonte:Associazione Italia Tibet
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A più di cinquant'anni dall'occupazione cinese in Tibet continua il clima di repressione imposto dalle autorità. Non c'è scampo per chi è a favore dell'indipendenza o non partecipa alla "unità della patria".


Originale: Orrore in Cina: 3000 condanne a morte in sei mesi
(lingua: Italiano )
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Orrore in Cina: 3000 condanne a morte in sei mesi


A più di cinquant'anni dall'occupazione cinese in Tibet continua il clima di repressione imposto dalle autorità. Non c'è scampo per chi è a favore dell'indipendenza o non partecipa alla "unità della patria".
di Si. Is.

A più di cinquant’anni dall’inizio dell’occupazione cinese in Tibet, continua il clima di pesante repressione imposto dalle autorità. Le violazioni dei diritti umani che si rilevano nella regione tibetana sono le stesse che si verificano in tutto il territorio della Repubblica Popolare Cinese. Il sospetto della partecipazione ad attività volte a “minare l’unità della madrepatria”, così come la minima espressione a favore dell’indipendenza, il possesso di materiale “sovversivo”, uno slogan o una canzone bastano per far scattare la prigione, le torture, i maltrattamenti e lunghe pene detentive. Maltrattamenti e torture sono prassi quotidiana nelle carceri, dove le condizioni di detenzione e l’assistenza sanitaria sono di gran lunga inferiori a qualsiasi standard internazionale. Decine di migliaia di profughi sono fuggiti all’estero, mentre più di un milione e duecentomila tibetani, secondo dati diffusi dal governo tibetano in esilio, avrebbero perso la vita a causa della repressione, nei campi di lavoro o in tentativi di fuga dal paese. Amnesty International è a conoscenza dei nominativi di alcune centinaia di prigionieri politici, la maggior parte dei quali sarebbero prigionieri di coscienza, detenuti in Tibet; il numero include una cinquantina di minori di 18 anni al momento dell'arresto. In realtà si teme che queste cifre siano molto sottostimate rispetto a quelle reali e si quantifica il numero di detenuti politici in circa un migliaio.

Monaci tibetani sotto assedio. Continuano le pesanti restrizioni e le interferenze alla vita religiosa dei tibetani. Per contrastare le attività a favore dell’indipendenza che le autorità ritengono abbiano sede soprattutto nei monasteri, è stata lanciata dal 1996 una campagna di “rettificazione patriottica”. Squadre di funzionari civili cinesi vengono da allora periodicamente inviate nei monasteri buddhisti per verificare il “patriottismo” dei monaci e per svolgere attività di educazione “all’amore per la madrepatria”. Come risultato di questa campagna si è avuta l’espulsione di centinaia di monaci dalle proprie sedi, la chiusura di alcuni monasteri o il passaggio della loro amministrazione direttamente alle cellule locali del partito comunista. Inoltre, in una serie di incidenti correlati alle sessioni di rieducazione, si è verificato il ferimento, talvolta in forma grave, di più di 80 tra monaci, monache e laici in seguito alle proteste contro il divieto di esporre le fotografie del Dalai Lama; molti di loro, almeno 200, sono stati arrestati, ed altri hanno dovuto fuggire dal proprio monastero per evitare l’arresto. Molti altri arresti sono avvenuti in seguito al rifiuto di monaci e monache a rinnegare il Dalai Lama.


Tremila condanne a morte in sei mesi. In tutta la Cina sono state comminate più di tremila condanne a morte nella prima metà del 2001. La campagna YANDA "Colpire duro" 2001, lanciata per combattere la criminalità, potrebbe costare la vita diverse altre migliaia di persone, come già avvenuto nel 1996. Le esecuzioni sono state eseguite mediante fucilazione o iniezione letale e talvolta si effettuano entro poche ore dalla sentenza. Gli appelli raramente hanno successo. Le esecuzioni di massa sono spesso eseguite prima di eventi importanti o feste pubbliche come il nuovo anno cinese, quando le condanne a morte sono a volte comminate per reati relativamente minori, che in altri momenti dell’anno non avrebbero sortito una sentenza simile.

Il silenzio della comunità internazionale. Nonostante la gravità e la diffusione delle violazioni dei diritti umani in Cina, la comunità internazionale non riesce ad assumere posizioni che possano in qualche modo portare governo ed autorità cinesi a modificare il proprio atteggiamento nei confronti della repressione interna. Il crescente peso a livello economico e politico della Repubblica Popolare Cinese le ha sempre consentito, in questi ultimi anni, di evitare che fossero discusse mozioni di condanna nei suoi confronti in sede di Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. L’ultima risoluzione di condanna dell’ONU per la Cina, proprio per la repressione in Tibet, risale infatti al 1965.

(18 FEBBRAIO 2002, ORE 11:13)










Consulta  anche:Italia Tibet e Amnesty International 
Originale:Orrore in Cina: 3000 condanne a morte in sei mesi 

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