Torturate per l'indipendenza del Tibet
L'atroce racconto di due monache tibetane, che hanno passato mesi in carcere per aver manifetstato a favore dell'autonomia del loro Paese. Costrette a insultare il Dalai Lama e a mangiare insetti. di Simona Isidori - CINA: TREMILA CONDANNE A MORTE IN SEI MESI
Ripetutamente maltrattate e torturate in carcere. Passang Lhamo e Choying Kunsang sono due giovani monache buddiste tibetane che hanno scontato rispettivamente cinque e quattro anni di reclusione per aver manifestato in modo pacifico e non violento a favore dell'indipendenza del Tibet. Rilasciate entrambe nel 1999 sono fuggite in India nel maggio dell'anno successivo e attualmente sono impegnate in un lungo “tour” che le sta portando in nove paesi europei e negli Stati Uniti per raccontare la loro storia. Una storia drammaticamente simile a quella di molte altre persone che nella Repubblica Popolare Cinese hanno subito una dura repressione, per aver dichiarato pubblicamente opinioni politiche.
Passang Lhamo ha 25 anni e a soli 16, dopo l’arresto di una sua compagna all’epoca tredicenne, selvaggiamente torturata presso la prigione di Gutsa, ha deciso di intervenire sulla situazione politica del suo paese, manifestando pacificamente. Ma proprio in quel periodo le autorità cinesi decisero di inviare al suo monastero una missione incaricata della rieducazione politica dei detenuti. Per tre mesi le monache furono continuamente sottoposte a sedute di indottrinamento comunista e obbligate a rinnegare e insultare il loro capo spirituale, il Dalai Lama. “La missione di rieducazione comunista ci ha imposto un’oppressione insopportabile, inoltre pensavamo continuamente alle nostre consorelle prigioniere che venivano torturate - ha raccontato Passang Lhamo -. Abbiamo voluto contribuire personalmente all’indipendenza del Tibet, perché ormai per noi era impossibile continuare a subire senza reagire”. Il primo giugno 1994 in seguito a una manifestazione pacifica Passang Lhamo e le sue amiche vennero arrestate e trasportate nella prigione di Gutsa, dove la monaca fu interrogata, percossa e sottoposta a tortura con scariche elettriche per settimane. “Le condizioni di vita a Gutsa sono molto difficili - ha spiegato la monaca - il cibo è immangiabile, insetti morti, residui di escrementi che servono come fertilizzanti, l'acqua viene centellinata e i prigionieri non ne ricevono abbastanza per placare la sete”. Passang Lhamo fu giudicata nel novembre 1994 e condannata a cinque anni di prigione per “azione separatista” e “turbativa dell'ordine pubblico”. Venne poi inviata alla prigione di Drapchi dove fu anche obbligata a esercizi fisici che si rivelarono vere e proprie torture; ma l’aspetto più duro da sopportare per lei furono le sedute di indottrinamento, durante le quali veniva insegnato ai prigionieri un passato storico totalmente falso.
Anche Choying Kunsang ha 25 anni e la sua storia è analoga a quella di Passam. Choying Kunsang ci ha spiegato che in Tibet non c'è alcuna libertà religiosa né alcun rispetto dei diritti dell'uomo e che un giorno, se non si farà nulla, la religione sparirà dal Tibet. “Non potevo sopportare tutto ciò e mi dicevo che era meglio morire piuttosto che non fare nulla - ha spiegato la giovane monaca -. Non ho quindi avuto paura di farmi arrestare, torturare e imprigionare”. A Gutsa fu vittima di interrogatori sempre accompagnati da violenze fisiche e morali, dalla mancanza d'acqua, meno di un litro al giorno per prigioniero, e dal cibo insufficiente e sporco. “Prima di lasciare Gutsa per Drapchi, tutte le monache furono costrette a un prelievo di sangue - conclude Choying -. Gli infermieri dissero che era per pagare il vitto del soggiorno a Gutsa", e il sangue fu venduto a Lhasa per dei malati cinesi.
Il 18 febbraio le due monache sono a Milano, ospiti di Amnesty International che ha lanciato una serie di incontri e conferenze per la campagna “Non sopportiamo la tortura”. Amnesty denuncia anche la situazione generale dei diritti civili in Cina e sottolinea come sia pericolosa l’adesione del governo cinese alla lotta internazionale contro il terrorismo. “La firma dell’accordo ha segnato l'ennesimo giro di vite nei confronti degli indipendentisti tibetani, nonché di quelli di etnia uigura o mongola, e nei confronti di altri movimenti come i Falun Gong - ha dichiarato Paolo Pobbiati, del coordinamento Estremo Oriente della Sezione Italiana di Amnesty -. Questo nonostante la Cina sia firmataria di trattati internazionali fondamentali, come il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, che vincolano gli stati firmatari ad una reale tutela di tali diritti".
(18 FEBBRAIO 2002, ORE 11)
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