Dalla Lhasa tibetana alla Lhasa cinese La conferenza propone allo spettatore di percorrere assieme il cambiamento sempre più veloce che ha portato Lhasa a perdere le proprie caratteristiche urbanistiche ed architettoniche ed a trasformarsi in una città cinese. Un sistematico piano di distruzione della identità di un popolo ormai divenuto straniero sulla propria terra. Un genocidio per sommersione che le autorità cinesi stanno attuando dopo lo sterminio avvenuto negli anni 60 e 70 che ha visto la morte di oltre un milione di tibetani. Con immagini scattate in prima persona nei viaggi del 1986, 1994, 1997, 1998 e 2004, l'autore presenta questo processo sempre più veloce che ha portato la 25° e la 26° sessione del World Heritage Committee (Unesco) ad esprimere profonda preoccupazione sulla sicurezza di un "patrimonio dell'umanità quale è il centro di Lhasa.
Il saccheggio e la distruzione Il sacco di Lhasa, la distruzione sistematica del patrimonio culturale tibetano, è iniziato durante l'insurrezione del 1959, anche se nelle province orientali l'asportazione dai templi di oggetti di valore era già una pratica corrente. Accanto a questa opera predatoria, è stata attuata una totale distruzione di templi e monasteri, acuitasi con le campagne delle Guardie rosse negli anni 60. Nei primi anni 80, quando nella Repubblica Popolare Cinese vengono riammessi i vari culti religiosi, pur sempre sotto controllo statale, pochissimi erano i templi agibili o parzialmente aperti ai fedeli ed ai turisti. Nella città di Lhasa si sono salvati il Potala, il Norbulinka e il Jokhang (in parte danneggiato. Si narra che fosse stato Ciu En lai, presidente della RPC a far schierare l'esercito [Esercito Popolare di Liberazione] a difesa del Potala).
Seguiranno alcune immagini tratte da Tibet, viaggiatori nell'Oriente ignoto, un volume fotografico di Stefano Pensotti e Marco Vasta che ampia parte dedica alla resistenza dei Kampa contro la invasione cinese ed alle trasformazioni avvenute in poù 60 anni di occupazione. |