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Kashmir, storia di un conflitto

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Rassegna stampa curata saltuariamente da Marco Vasta


31/12/2001  In Pakistan, quale islam per quale nazione?


dal 31/12/2001 al 31/12/2001 Stato: Pakistan

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Gli ambigui legami del Pakistan

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Fonte:Le Monde Diplomatique

In Breve (lingua: Italiano )

Nel discorso alla nazione pronunciato nove giorni dopo gli attentati di New York e Washington, il generale-presidente del Pakistan Pervez Musharraf si è soffermato a lungo sui compromessi fatti dal profeta Maometto con le tribù ebraiche e con i non credenti per assicurare alla fine la vittoria dell'islam nascente. Dopo avere per molto tempo protetto i taliban, Musharraf non ha mancato di invocare l'interesse nazionale per giustificare la sua adesione condizionata al campo americano e la sua nuova politica afghana.


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Il ruolo di Islamabad nella bufera regionale
In Pakistan, quale Islam per quale nazione?

Nel discorso alla nazione pronunciato nove giorni dopo gli attentati di New York e Washington, il generale-presidente del Pakistan Pervez Musharraf si è soffermato a lungo sui compromessi fatti dal profeta Maometto con le tribù ebraiche e con i non credenti per assicurare alla fine la vittoria dell'islam nascente. Dopo avere per molto tempo protetto i taliban, Musharraf non ha mancato di invocare l'interesse nazionale per giustificare la sua adesione condizionata al campo americano e la sua nuova politica afghana.

di JEAN-LUC RACINE*
La nazione, l'Islam, la guerra: in questa attuale fase delicata il Pakistan si ritrova di fronte a se stesso e alla sua breve storia.
Dopo aver strumentalizzato gli islamisti e creato i taliban, come faranno l'esercito e i servizi segreti (Inter Service Intelligence - Isi) a gestire la nuova linea, qaundo tra l'altro usano gruppi di islamisti armati per mantenere alta la pressione nel Kashmir indiano?
Come potranno affrontare l'ondata di antiamericanismo suscitata dai bombardamenti in Afghanistan e il sentimento di solidarietà musulmana nei confronti dei partiti religiosi e dei gruppi sostenitori della jihad? Riuniti nel nuovo Consiglio di difesa pakistano-afghano questi ultimi denunciano, come fa Osama bin Laden, il «tradimento» del regime.
Nato nel 1947 dalla volontà della Lega musulmana di creare uno stato per i musulmani dell'ex Impero delle Indie (1), il Pakistan è frutto della teoria delle due nazioni formulata nel 1933 da Rahmat Ali, il quale affermava che indù e musulmani non potevano convivere nell'uguaglianza.
Approvata dalla Lega nel 1940, questa volontà di partizione portò, nei territori indiani a maggioranza musulmana, alla creazione di un Pakistan musulmano ma bicefalo, diviso in due parti (occidentale e orientale) separate dalla nuova India. Una creazione che naufragherà nel 1971, quando i bengalesi del Pakistan orientale, maggioritari per numero ma esclusi dal potere da Islamabad, faranno secessione per fondare il Bangladesh, con l'appoggio militare indiano.
Esclusa la popolazione indù all'indomani dei massacri della partizione e accolti milioni di mohajir, musulmani in fuga dall'India di recente indipendenza, il Pakistan è oggi musulmano al 97%. Ragion d'essere del paese, questo predominio assoluto fonda la nazione su un'identità incancellabile, vissuta profondamente, invocata costantemente, coltivata nelle scuole, nelle celebrazioni pubbliche e nei media governativi, ma mal definita nei suoi rapporti con l'Islam. Lo stato è islamico, ma non per questo islamista e l'Islam stesso è diviso. Per effetto della radicalizzazione del sunnismo militante a favore della guerra d'Afghanistan (1979-1988) e poi dello sviluppo dei taliban (a partire dal 1995) la coabitazione tradizionale tra sunniti (75%) e sciiti è ormai compromessa dagli attentati commessi da gruppi estremisti delle due parti.
L'Islam non è stato quella forza unificante della nazione invocata dai fondatori, dal momento che non ha cancellato le appartenenze etnolinguistiche, come ha poi dimostrato la secessione del Bangladesh.
Nel mosaico pakistano del dopo-1971 i punjabi (56% della popolazione) sono più numerosi dei sindhi (17%), dei patani (16%) e dei beluci (3%), senza contare le tribù dell'estremo nord. La loro egemonia non si fonda solo sui numeri. È determinante nell'esercito e nelle altre strutture del potere: la burocrazia permanente, il Parlamento aleatorio oggi sciolto, il controllo dell'acqua, essenziale per l'economia del paese. Questo dominio punjabi viene particolarmente mal tollerato dai sindhi e dai baluci, oltre che dai mohajir di Karachi. L'insurrezione dei baluci del 1973 è stata soffocata con violenza dall'esercito.
Il potere dei generali La distribuzione geografica delle principali comunità si configura così: tutte si situano a cavallo delle frontiere, mentre il fiume Indo, asse strutturale del paese, costituisce anche una linea di divisione linguistica. Le lingue dell'est, punjabi e sindhi, si trovano anche in India. Quelle dell'ovest, pashtu e beluci, si spingono fino in Afghanistan e in Iran. Di fatto, pur rivendicando una storia millennaria che risale alla civiltà dell'Indo, il Pakistan resta rinserrato all'interno di frontiere coloniali.
La frontiera contestata con l'Afghanistan è la linea Durand. Risale al 1893 e attraversa le terre pashtun, fronte ultimo della sovranità britannica al momento del Grande gioco che opponeva russi e occidentali ai confini dell'Asia centrale e dell'Oceano indiano fin dal XIX secolo.
È una frontiera aperta, che ha permesso il passaggio di armi, droga, mujaheddin, rifugiati (dagli anni '80) e, dal 1995, di taliban. La linea di partizione, tracciata da Radcliffe nel 1947, - demarcazione praticamente chiusa con l'India - lascia in sospeso la questione del Kashmir. E lungo la linea di controllo (Loc) s'infiltrano in Kashmir non soltanto i militanti kashmiri in lotta contro il regime indiano, ma anche i movimenti islamisti dalle mire internazionaliste.
Alcuni di questi gruppi, con base in Pakistan, sono legati organicamente o ideologicamente alla sfera di Al Qaeda. Per esempio, l'Esercito dei puri (Lashkar-e-Taiba), emanazione del Centro d'invito all'ascolto della parola divina (Markaz ad-dawat wal Irshad), movimento sostenitore della guerra santa internazionale; e il Jaish-e-Mohammad, nuova versione del Movimento dei Partigiani del Profeta (Harkhat-ul-Ansar), a sua volta emanazione del raggruppamento degli ulema del Pakistan (Jamiat-i-Ulema-i-Pakistan) (2).
Il fallimento dell'esperimento democratico - il Pakistan conosce attualmente il suo quarto regime militare, anche se quello al momento al potere non ha introdotto la legge marziale - è dovuto in gran parte alla sociologia del paese. I mohajir venuti dall'India in origine appartenevano soprattutto ad ambienti socioeconomici progrediti.
Ma dovettero fare i conti con il feudalesimo fondiario del punjabi e con le strutture tribali delle terre pashtun della provincia della frontiera nord-occidentale e del Belucistan. Nell'insieme, malgrado la popolarità dei capi dei due principali partiti, la Lega musulmana di Nawaz Sharif e il Partito del popolo pakistano di Benazir Bhutto, la vita parlamentare è stata animata più dai giochi dell'élite, dal clientelismo e dalle accuse reciproche di corruzione che dal coinvolgimento dei gruppi prevalenti della società, ovvero della classe media. Così i militari assunsero un ruolo decisivo, sia dietro le quinte sia in primo piano, e l'esercito, insoddisfatto dei governi civili, ha preso più volte il potere, come ha fatto in modo incruento il generale Pervez Musharraf nell'ottobre del 1999 (3).
Il contraccolpo dell'11 settembre e la «guerra contro il terrorismo» lanciata da Washington modificano profondamente lo scenario geopolitico regionale e hanno conseguenze fondamentali per il Pakistan in quattro settori critici.
In primo luogo si pone la questione della strumentalizzazione dell'islamismo da parte dello stato. Questa politica è stata attuata fin dagli anni '80 dal generale Zia-ul-Haq, dai servizi segreti dell'Isi e dalla Cia per rafforzare i mujaheddin afghani contro le forze d'occupazione sovietiche. Durante il governo di Benazir Bhutto, nel 1995, il sostegno ai taliban seguiva la stessa logica militare. Islamabad, delusa dall'incapacità del dirigente dell'Hezb-i-Islami Gulbuddin Hekmatyar a controllare il paese, intendeva favorire un regime amico a Kabul per garantire, di fronte all'India, la propria posizione strategica (meno necessaria tuttavia dopo i test nucleari del maggio 1998) e per evitare di farsi prendere in una morsa tra l'Afghanistan e l'India (4). Si trattava anche di essere presente sullo scacchiere energetico, in cui si agitavano le compagnie petrolifere americane, pronte a trattare con i taliban, «forza stabilizzatrice», per far transitare il gas turkmeno verso le coste pakistane.
Seconda questione: il Kashmir. Porre fine all'avventurismo pakistano in Afghanistan obbliga a far lo stesso in Kashmir? A maggioranza musulmana, ma con un sovrano indù, il Principato aderì all'India nel 1947, per reagire ai franchi tiratori, avanguardia dell'esercito pakistano. Questa prima guerra portò alla partizione di fatto del territorio, mantenuta dopo la seconda guerra nel 1965. La terza guerra nel 1971 non cambiò minimamente il tracciato della Linea di controllo che divideva lo stato. L'ultimo intervento pakistano, deciso dal generale Musharraf, allora capo di stato maggiore, portò nel 1999 alla guerra occulta di Kargil (5).
Oggi il generale Musharraf distingue la questione afghana da quella del Kashmir. Ai propri concittadini spiega di voler ridefinire la sua politica afghana in nome di quattro interessi superiori pakistani, tra cui «la causa del Kashmir (6)». Il fatto è che, nella costruzione della nazione pakistana e nella teoria geostrategica predominante, il Kashmir conta per il Pakistan più dell'Afghanistan: si situa al cuore del rapporto conflittuale con l'India.
Terra indiana per Nuova Delhi, che invoca la natura multiconfessionale della nazione, territorio musulmano contestato, il cui destino dev'essere definito mediante referendum secondo Islamabad, il Kashmir cristallizza due immagini opposte di nazione e alimenta rancori reciproci. Ha permesso anche a Islamabad d'imporre al grande vicino un guerra di bassa intensità, prima appoggiando i kashmiri insorti a partire dal 1989, poi infiltrando come «fratelli invitati» gruppi di jihadi formati e finanziati in Pakistan.
Questa politica d'intervento sarà tuttavia sempre più difficile da sostenere. L'India chiama Washington e la comunità internazionale a proseguire la guerra contro il terrorismo al di là di Al Qaeda e pendere di mira le formazioni islamiste armate con base in Pakistan che operano in Kashmir. Gli Stati uniti fanno di tutto per evitare che l'India destabilizzi il Pakistan attaccandovi, come peraltro loro stessi fanno in Afghanistan, i campi delle organizzazioni che la colpiscono. Cercando di mantenere un equilibrio tra i due vicini dotati di armi nucleari, l'amministrazione americana invia alcuni segnali a Nuova Delhi: Jaish-e-Mohammad e Lashkar-e-Taiba stanno per esser dichiarati gruppi terroristi. Islamabad del resto ha ammesso per la prima volta che l'attentato suicida del 1° ottobre scorso contro il Parlamento di Srinagar, che ha fatto 35 morti nel Kashmir indiano, era un atto di terrorismo.
Tra islamisti e militari In terzo luogo si pone il problema dell'identità della nazione stessa, lacerata tra nazionalisti e islamisti radicali. Il generale Musharraf ritiene che i seguaci dei movimenti islamisti siano una piccola minoranza.
Ha senz'altro ragione: i partiti religiosi non hanno mai ottenuto più del 6% dei voti alle elezioni e la loro capacità di mobilitazione contro la nuova linea politica ha avuto scarso successo. Ma le carenze dello sviluppo economico e sociale possono far crescere il numero dei seguaci, soprattutto denunciando i bombardamenti americani e una guerra dell'Occidente contro l'islam. L'identità musulmana del Pakistan, che Jinnah, il Padre della nazione, voleva moderata, deve ora essere precisata: quale islam, per quale nazione?
Il principale partito religioso, la Jamaat-e-Islami, critico come altri di Musharraf, ha un progetto nazionale: quello di trasformare il Pakistan in un vero e proprio stato islamista, anche solo per farlo diventare un motore dell'Umma, la comunità transnazionale dei credenti. Ma quest'ultimo è sempre in fondo un progetto nazionale.
Per i più radicali, i fondamentalisti internazionalisti della jihad, l'Umma conta invece più della nazione e il progetto ideologico dei taliban appare più importante dei compromessi modernisti dello stato pakistano o del gioco sterile dei partiti maggioritari oggi allontanati dal potere (7).
Infine, quarta e ultima posta in gioco: l'esercito. Gli islamisti da soli non potrebbero rovesciare il regime senza l'appoggio dei militari. Ma quale influenza ha l'islamismo tra loro? Alcuni generali sono riusciti a strumentalizzare i gruppi islamisti per la guerra in Afghanistan e per la loro strategia anti-indiana in Kashmir, senza per questo aderire alla loro ideologia. Altri l'hanno fatto anche per convinzione. Il 7 ottobre, subito prima dell'inizio degli attacchi americani, Musharraf ha allontanato alcuni dei collaboratori a lui più vicini, come il generale Mahmud Ahmed, capo dell'Isi. Un mese dopo altri ex alti responsabili militari sono diventati oggetto di controversie (8).
I dirigenti indiani non credono che il generale Musharraf voglia sfruttare queste circostanze per operare la grande trasformazione di cui il Pakistan ha bisogno. Anche se volesse, come potrebbe farlo in questo clima di crescente tensione, quando sono in causa la posta in gioco emblematica del Kashmir, la potenza dell'esercito, alimentato da cinquant'anni di scontri con l'India e la sfida dell'islamismo radicale? Il ritorno dei civili al potere, da sempre annunciato per ottobre del 2002, non è di per sé garanzia di un cambiamento delle priorità nazionali (9) e della politica regionale, né tantomeno di stabilità politica. In un Pakistan alla ricerca di se stesso ciò che prevale è l'incertezza.



note:

* Direttore di ricerca al Cnrs (Centro di studi dell'India e dell'Asia meridionale). Autore di La question identitaire en Asie du Sud, Editions de l'Ehess, Parigi, 2001.

(1) Fondata nel 1909 a Dhaka, la Lega musulmana divenne negli anni '40, sotto la guida di Mohammad Ali Jinnah, una forza inarrestabile a favore della Partizione dell'Impero.

(2) Sheikh Mir Hamza, segretario del Jamaat-i-Ulema-i-Pakistan, fu uno dei cinque firmatari della fatwa lanciata da Osama bin Laden contro gli Stati uniti il 23 febbraio 1998.

(3) Il Pakistan è stato guidato direttamente da militari dal 1958 al 1971 e dal 1977 al 1988.

(4) Da qui deriva l'opposizione pakistana all'Alleanza del Nord, sostenuta dalla Russia e dall'India. Dopo la presa di Mazar-i-Sharif da parte dell'Alleanza, il 9 novembre scorso, la riluttanza americana per l'avanzata dell'Alleanza su Kabul, avvenuta simultaneamente all'incontro di Musharraf con Bush a Washington, segue la stessa logica.

(5) Si veda Philip S. Golub, «Inde-Pakistan, le bras de fer», in «Atlas 2000 des conflits» Manière de voir, n.49, gennaio-febbraio 2000, pp. 39-42.

(6) Discorso del 20 settembre 2001. Le altre tre priorità sono: 1) la sicurezza del paese e la minaccia esterna - qui è da intendersi l'India o addirittura gli Stati uniti, nel caso in cui Washington avesse definito il Pakistan come stato protettore di gruppi terroristi; 2) l'indispensabile rilancio dell'economia. Il Pakistan godrà della sospensione delle sanzioni imposte da Washington, di nuovi prestiti e della riscadenzamento del pesante debito; 3) le forze nucleari, ritenute minacciate in caso di conflitto.

(7) Commentatore molto seguito in Pakistan, Imtiaz Alam vede nella connessione dei pashtun filo-taliban e degli islamisti di fede deobandita (scuola nata in India nel XIX secolo) e wahhabita (corrente nata in Arabia nel XVIII secolo) il germe di una possibile guerra civile tra i seguaci dello stato-nazione e quelli del panislamismo radicale.
The News, Karachi, 20 ottobre 2001.

(8) Il generale Moinuddin Haider, ministro degli Interni, ha pubblicamente criticato l'8 novembre il generale Hameed Gul, ex capo dell'Isi e il generale Mirza Aslam Beg, ex capo di stato maggiore, per avere creato e finanziato di propria iniziativa nel 1988 un partito islamista, l'Islami Jhamoori Ittehad, con lo scopo di destabilizzare Benazir Bhutto. Chiunque in Pakistan capisce qual è la posta in gioco: «Gul» e «Beg» hanno svolto un ruolo essenziale nella politica afghana di Islamabad e sono tra i falchi più critici di Musharraf.

(9) Indispensabile a livello sociale ed economico: il servizio del debito e il bilancio dell'esercito ammontano a quasi tre quarti della spesa pubblica.
(Traduzione di E. P.)


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